lunedì 19 aprile 2021

ASKELADDEN e SKOGKATT

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ALBERTO MACCHI 

 
ASKELADDEN e SKOGKATT 

Due Personaggi d’Inchiostro 
 

da “Fiabe Norvegesi” raccolte da Peter Christen Asbjørnsen e Jørgen Moen 

 
ASSOCIAZIONE ITALIANI IN POLONIA 

Varsavia 2010 

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Scena Prima: CONSIDERAZIONI 

Un paesino della Norvegia oggi. Parte una musica. Fra case colorate in diverse colori, come dentro una fiaba, il Gatto Skogkatt cammina lungo una stradina. Ecco che incontra Askeladden. 

ASKELADDEN: (Camminando ciondoloni) Ciao Skogkatt. 
SKOGKATT: (Con procedere elegante) Ciao Askeladden. Espen, amico mio, come va oggi? 
ASKELADDEN: Oggi è una bella giornata, anche se non c’è sole, non c’è vento, non c’è neve, non c’è pioggia, non c’è nebbia. 
SKOGKATT: ... non c’è freddo, non c’è caldo! ... Non c’è cielo, non c’è aria! Certo, parlare con te, è parlare con un sempliciotto, ignorante. Non è un caso che ti chiamino Askeladden ossia Ceneraccio, (1)! Un po’ una Cenerentola al maschile, un povero di spirito, capace soltanto di trafficar con la cenere attorno al camino. 
ASKELADDEN: Tu invece sei proprio un Norsk Skogkatt un Gatto delle Foreste Norvegesi (2), un Vichingo selvaggio come le tue origini, violento, senza un pizzico di sensibilità. Non hai mai riguardi nei miei confronti, mi mortifichi e mi offendi sempre. 
SKOGKATT: Davvero?! 
ASKELADDEN: Invece io sono il più importante di tutti i personaggi delle fiabe norvegesi. All’inizio della storia io, di solito, posso apparire come un negletto, un incapace, un buono a nulla; invece dentro di me ho molte qualità nascoste, come la capacità di compiere, al momento opportuno, grandi cose. Io aspetto sempre l’occasione propizia per comparire e per fare quello che nessun altro sarebbe capace di fare. Credo d’essere stato io ad ispirare il personaggio di Peer Gynt a Enrik Hibsen! 
SKOGKATT: Se non la smetti di esagerare mi trasformo nell’Urlo di Munch e comincio a gridare (Accenna un urlo). 
ASKELADDEN: Vedo che anche tu, che vai sempre dicendo in giro d’essermi amico, invece non m’hai ancora capito. Ora per darti una prova del mio intelletto, guarda che domanda intelligente posso farti, così, di sorpresa. Dunque ..., vediamo: Quali sono, tra i tesori norvegesi, quelli del nostro patrimonio culturale? 
SKOGKATT: (Pieno di se, quasi salendo in cattedra) Caspita, che modo forbito di parlare! E quanta cultura dev’esserci dietro ad una domanda così! Un quesito degno di tutto rispetto come questo ha bisogno d’una risposta parimenti dignitosa. Allora ..., ah, ecco: Il nostro patrimonio culturale contiene molti tesori e le storie ereditate dalla tradizione orale costituiscono i tesori più grandi. E non dico questo perché sono un Gatto, un personaggio privilegiato delle favole. Al giorno d’oggi, questo genere letterario è molto caro a noi norvegesi perché mostra le nostre radici culturali e fa parte della nostra identità. Le Fiabe e le Leggende popolari costituiscono, insieme ai Canti popolari, la parte più antica della nostra letteratura. Le Fiabe popolari sono Racconti liberi e pieni di fantasia che si sono tramandati di bocca in bocca da tempi immemorabili. Trattano le relazioni umane, espresse da noi ‘personaggi d’inchiostro’, in un linguaggio fantastico e ricco di simboli. Come per tutta la buona letteratura, le Fiabe prendono spunto dalla vita quotidiana, ma non rimangono mai nei confini del reale ed in quello che i comuni mortali sono soliti considerare veritiero e ragionevole. Spesso contengono elementi sovrannaturali e straordinari. Piuttosto tu sai se le Fiabe hanno un proprio stile? 
ASKELADDEN: Eih, eih, calma! Adesso non esagerare. Non vorrai sottopormi a tanto stress. Torniamo invece a parlare col nostro linguaggio tra terra e nuvole o meglio ad altezza di bambino, come nelle nostre favole: “C’era una volta”, “C’erano una volta un re ed una regina” o “C’era un tempo in cui tutte le cose potevano parlare”. Oppure, se vuoi, giochiamo con rime come questa: “Snipp, snapp snute, så er eventyret ute”. 
SKOGKATT: Sì, ma io ho da dire che non sono d’accordo con quelle formule finali che sono solite raccontare ciò che è successo dopo che la storia principale è terminata, come: “E se non sono morti allora vivono ancora” oppure “Il macinino del sale è ancora oggi in fondo al mare e continua a macinare. Ed è per questo che l’acqua è salata” (3). 
ASKELADDEN: E questi Troll sempre presenti!? E sempre nel numero di tre!? E tre fratelli, tre figlie del re, come nella fiaba del “Re Valemon e l’Orso Bianco” (4), dove si racconta di un orso che va a rapire le tre figlie del re, per giunta, tre giovedì sera consecutivi. 
SKOGKATT: E che ne dici della faccenda del buono che viene sempre premiato e del cattivo che è sempre punito? 
ASKELADDEN: Beh, sai, è la necessità della favola d’avere sempre un lieto fine! 
SKOGKATT: È vero! E questo, devo dire, vale per tutti i tipi di fiabe: quelle con gli animali, quelle sovrannaturali e quelle scherzose. 
ASKELADDEN: A me, tra quelle con gli animali, piace particolarmente quella storia della Volpe che si prende gioco dell’Orso facendolo pescare attraverso il ghiaccio con la propria coda; per cui ad un certo momento, a causa dell’acqua gelata, la coda dell’Orso resta imprigionata nel ghiaccio e quando egli cerca di tirarla fuori per recuperare il pesce pescato, questa gli viene troncata. Ecco quindi la ragione per cui oggi l’Orso ha la coda mozza. SKOGKATT: A me invece affascina la fiaba dei “Tre Caproni Ciuffoni che per ingrassare alla malga dovevano andare”. Certo, sono belle allo stesso modo: la fiaba della Volpe che ha rubato il burro, quella del Topo di casa e del Topo di montagna, quella della Beccaccia che era tanto fiera dei propri figli (5). 
ASKELADDEN: Se la mettiamo così, allora è carina anche quella della Gallina. 
SKOGKATT: Le fiabe magiche poi, costituiscono il gruppo più fornito della letteratura fantastica. Queste ci parlano di una serie di creature che combattono Draghi, Troll e Streghe, e di esseri umani dotati di poteri sovrannaturali. Descrivono anche di certi fenomeni prodigiosi come gli stivali delle sette leghe, mantelli invisibili, tovaglie che si stendono e si riempiono di mille vivande, montagne di cristallo, castelli d’oro e di un gran numero di cose fantastiche e meravigliose. Queste fiabe raccontano anche avvenimenti particolari come per esempio un viaggio di sette ore attraverso sette regni, di gente che dorme per cento anni, o ancora di metamorfosi di uomini in animali o in pietre. 
ASKELADDEN: In una di queste storie magiche, tra cui “Ad Est del Sole e ad Ovest della Luna” (6) – ricordi? – io bevo una pozione magica che mi rende invincibile (Si esibisce) ed in grado di brandire una spada magica con la quale riesco a tagliare tutte le teste dei tremendi Troll (7). Poi incontro la Principessa e l’eroina incontra il Principe, ma subentrano complicazioni che ritardano il momento in cui i due potranno riunirsi. La storia finisce con il trionfo del protagonista che supera tutte le difficoltà e le avversità e “conquista la principessa e metà del reame” dopo aver vinto l’impostore, ovvero “il Cavaliere Rosso” (8). 
SKOGKATT: (Applaude) Che bravo che sei? Sai recitare benissimo anche al di fuori delle favole. Poi ne conosci un’infinità, anche quelle scherzose (9)! E sai raccontar le fiabe, “Seie Soger”? E scriverle? ASKELADDEN: Queste cose magari no. Ci sono gli esperti di quei mestieri. E poi noi, in quanto personaggi fatti d’inchiostro, che abbiamo avuto origine da penne e pennini, come potremmo scrivere a nostra volta? 
SKOGKATT: Certo, faremmo, sopra i fogli di carta, solo macchie (Ride vistosamente). 
ASKELADDEN: E per scrivere Saghe, Fiabe o Storie, i nostri scrittori norvegesi, umani, già nel dodicesimo secolo, hanno dovuto far riferimento per alcune trame, alle Favole e alla Mitologia greca e per alcune espressioni al vocabolario latino, vedi il termine “ævintyr” da “adventura”. Noi come potremmo ...? 
SKOGKATT: E hanno scritto: “È meglio ascoltare le Saghe che le Storie della Matrigna cattiva, come quelle che i giovani sono soliti raccontare. In tali Storie non si riesce a distinguere ciò che è vero da ciò che non è vero. E spesso la figura del Re ne esce piuttosto male” (10). 
ASKELADDEN: Qualcuno (11) addirittura riteneva che le fiabe fossero così puerili da non dover uscire dalle pareti delle stanze dei bambini. 
SKOGKATT: Però fino a che punto sono norvegesi le nostre fiabe? ASKELADDEN: Cosa vi sia di caratteristico norvegese nelle fiabe non si sa. Ma ciò è dovuto alla natura propria delle fiabe che, oltre ad avere un’appartenenza nazionale, possiedono anche un carattere universale. Le fiabe vengono portate di luogo in luogo e migrano attraverso vaste regioni della terra. Anche le illustrazioni e i disegni (12) hanno donato alle nostre fiabe una caratteristica di realismo e di buonsenso paesano tutto norvegese. 
SKOGKATT: Ma ora prendiamo in esame le leggende mitiche. ASKELADDEN: Le leggende che raccontano di creature sovrannaturali o di spiriti come i “Vetter”, vengono chiamate leggende “mitiche”. In precedenza i ricercatori ritenevano che questi esseri sovrannaturali, di cui le leggende parlavano, fossero in verità discendenti degli antichi dei, da cui il nome leggende “mitiche”. Per la verità vi è solo una leggenda norvegese che fa riferimento agli antichi dei della mitologia nordica, e parla del Dio Tor. Non lontano dal lago Totak, nel Telemark, si trova un’enorme frana di pietre, detta la frana di Urebø. La leggenda vuole che l’ammasso di rocce sia stato provocato dal Dio Tor quando ha fatto a pezzi la montagna sovrastante, e che la valanga di pietre abbia raso al suolo una piccola fattoria che si trovava sul suo passaggio. 
SKOGKATT: La letteratura popolare tradizionale offre numerose leggende che fanno allusione a degli esseri sovrannaturali. Molte leggende sono legate al mare o evocano dei mostri marini o lacustri. La più conosciuta parla del gigantesco serpente che nei tempi lontani abitava il lago di Mjøsa. Ai nostri giorni è il lago di Seljord che è divenuto il luogo prediletto di un mostro, una specie di “Loch Ness” norvegese. Anche il mare è abitato da strane creature come si racconta nella leggenda di “Draugen”, lo spettro annunciatore di morte. E’ considerato come lo spettro di un annegato o come la personificazione di tutti quelli che sono morti in mare. Il “Draugen” viene descritto come un pescatore decapitato, vestito di cuoio. Naviga su una mezza barca e avverte con i suoi lamenti ogni volta che una persona sta per annegare. “Nøkken”, Ondino, il genio abitatore delle acque, vive nei fiumi e nei laghi. E’ pericoloso perchè cerca di allettare la gente per attirarla in acqua. Come il “Draugen” anche lui avverte quando qualcuno sta sul punto di affogare. Rappresenta il pericolo e quanto di brutto riserva l’acqua. Questa creatura sgradevole il “Nøkken” è stato riprodotto in modo magistrale dal pittore Theodor Kittelsen. Ispirato da varie leggende che descrivono le sue apparizioni sotto questa forma, ha anche dipinto il “nøkken” con le sembianze di un cavallo bianco. La tradizione norvegese riserva un posto importante al genio delle cascate “Fossegrimmen”, che insegna l’arte del violino. Colui che vuole imparare a suonare il violino deve andare alla cascata ed offrire del cibo al genio. Certe leggende ci raccontano che il tentativo può riuscire a metà se, per esempio, il “fossegrimmen” trova scarso il cibo. Egli insegna quindi al candidato violinista solo “å stilla, men ikkje å slå”, ad accordare lo strumento ma non a suonarlo. Nelle montagne e nei boschi vive una varietà di creature mitiche e le leggende che evocano le impronte lasciate dai Troll, si trovano in tutto il paese. Alcune volte i Troll sono pietrificati e si confondono con le rocce, come “Hestmannen” “il Cavaliere di Nordland” e “Vågekallen” “il vecchio di Vågan”. Le impronte lasciate dai troll mostrano sempre la loro grandezza, come a testimoniare che le forme rocciose sono il risultato delle loro azioni: “Jutulhogget”, il colpo d’ascia del gigante della montagna nella valle di Østerdal oppure le gigantesche pietre che i Troll hanno gettato contro una chiesa o contro altri Troll. “Haugefolket”, i geni sotterranei, sono quelli che senza dubbio ricoprono il ruolo più importante nelle leggende norvegesi. Consistono di un vasto gruppo di creature sovrannaturali o “Vetter” e hanno molti nomi: “Bergfolk” gente di montagna, “Haugfolk” gente di collina, “Underjordiske” esseri che vivono sottoterra, “ Huldrefolk” le fate delle montagne e delle foreste, ed i “Tusser” altra categoria di esseri sovrannaturali che vivono sotto terra. Sull’origine di queste creature, le leggende raccontano che discendono da bambini che Eva ha nascosto a Dio. Scoperto l’inganno, l’Eterno proclamò che quello che era stato nascosto una volta sarebbe rimasto nascosto per sempre. Un’altra leggenda racconta che questi esseri sovrannaturali che vivono sotto terra sono quegli angeli che il Signore a suo tempo cacciò dal paradiso. Le creature sovrannaturali sotterranee sono di solito considerate esseri di estrazione inferiore rispetto agli umani che esse invidiano in quanto possono vivere alla luce del sole. Spesso sono di piccola taglia e si vestono di blu o grigio. Il loro mondo è molto simile a quello degli umani: pascolano le greggi, coltivano le fattorie e pescano a bordo di navi. Come dice il nome vivono sotto terra o nella parte più profonda delle montagne, e molte leggende raccontano che a volte si sente la montagna risuonare della loro vita sotterranea. A volte si riesce ad incontrarli allo scoperto o a vedere le loro greggi. Henrik Ibsen ha utilizzato materiale di queste leggende nella sua opera “Peer Gynt”. I geni femminili delle montagne e delle foreste o degli oggetti a loro appartenenti possono approdare nel mondo degli umani. Certe leggende raccontano di uomini che hanno sposato delle fate o che hanno ricevuto oggetti d’argento come un corno per bere o una corona da sposa gettando un pezzo di metallo su questi oggetti. Molte leggende raccontano di esseri umani caduti sotto l’incantesimo della montagna, alcuni spariti per sempre, altri che riescono a tornare nel mondo dei loro simili. La tradizione leggendaria è ricca di narrazioni sugli spiriti domestici, gli “Husvetter”, che vivono alla fattoria a contatto con la famiglia, di generazione in generazione. Essi combattono con i “Nisser”, gnomi di altre fattorie, sempre pronti a prendersi la rivincita quando sono oggetto di un affronto. Eccellenti guardiani, sorvegliano molto bene la fattoria e le greggi e sono maestri nell’arte di intrecciare la coda e la criniera dei cavalli. 
SKOGKATT: E vogliamo parlare delle leggende storiche? Le fonti ed i temi della maggior parte delle leggende norvegesi sono di origine molto più recente. Infatti, il re Olav Tryggvesson, morto in combattimento ed in seguito santificato, è l’unico re norvegese dell’epoca medievale che sia divenuto una figura leggendaria nella memoria popolare. Di lui si è raccontato in tutto il paese, ma è soprattutto l’aspetto leggendario che prevale. Si racconta che la natura conserva ancora tracce della sua nave e del suo cavallo, che ha conferito numerose fonti di poteri sovrannaturali e che avrebbe pietrificato i Trolls. In molti luoghi avrebbe permesso la costruzione di chiese ed avrebbe in innumerevoli occasioni indotto i Trolls a costruirne per lui. Le leggende aventi come tema la peste nera “Svartedauden” che si abbatté sulla Norvegia nel 1349-1350, costituiscono il secondo gruppo per importanza di leggende medievali. La peste nera è spesso personificata con i tratti di una vecchia che va in giro per il paese con una ramazza ed un rastrello. Là dove rastrellava qualcuno si salvava, ma dove passava la scopa morivano tutti. Queste leggende costituiscono in realtà una fonte di informazione interessante sugli effetti e l’estensione dell’epidemia. Particolarmente commovente è la leggenda “Førnesbrunen” di Rauland nel “Telemark”, il cavallo che, benché privo del cavaliere, trasportò i cadaveri attraverso la landa fino al più vicino cimitero. Molte leggende ci raccontano che in certi villaggi ed in certe valli sopravvissero solo poche persone, oppure che erano tutti morti e che la regione era completamente deserta. L’onomastica ci rivela che molti nomi di luoghi hanno un legame con queste leggende. La più conosciuta è la leggenda “Jostedalsrypa” “la Pernice delle nevi di Jostedal”, che racconta di una ragazza rimasta sola nella valle fino al giorno in cui viene ritrovata ormai timida e intrattabile come un uccello selvatico. Un altro gruppo di leggende è costituito da quelle sulla famiglia. Da fonti che risalgono al XVIII secolo, apprendiamo del grande interesse che i contadini norvegesi avevano per la genealogia e le tradizioni familiari. Il vescovo di Bergen, Erik Pontoppidan, racconta nel 1753, che le famiglie contadine norvegesi “si prendono grande cura di preservare le informazioni che vengono loro fornite dall’albero genealogico e trasmesse per tradizione”. Le leggende sulla famiglia vennero scritte dopo il 1850. Non hanno la stessa qualità artistica delle saghe islandesi anche se il contenuto è simile: trattano di liti, di proprietà terriere, di donne, omicidi, vendette e banditi. Le storie raccontano dei grandi proprietari terrieri. Molti ci vengono presentati come dei giganti messi al bando dopo che avevano compiuto un delitto. Le migliori e la maggior parte di queste leggende provengono dalle regioni interne di Agder e Telemark e dalle valli della regione Østlandet. Il quarto grande gruppo di leggende è quello relativo alla storia delle comunità rurali la cui struttura è tipicamente norvegese. Esse mettono in scena alti funzionari, come Stig Bagge e Erik Munk, e certi preti dalle abitudini strane che la gente rurale non è riuscita a dimenticare. Membri del clero in contrasto con la popolazione del villaggio oppure preti che, si raccontava, avessero conoscenze di stregoneria, sono i temi di numerose leggende appartenenti a questo gruppo. Peter Dass è il prete di cui si è raccontato maggiormente. 
ASKELADDEN: Allora prendiamo in considerazione anche le leggende itineranti. Mai i ricercatori hanno ritenuto che un racconto dovesse essere antico per essere classificato come leggenda. Ma in precedenza, vi era una tendenza a collegare la “leggenda” con la nozione di “antico” e a prendere in considerazione il suo contenuto che metteva abitualmente in scena la società contadina. La struttura della società è mutata radicalmente negli ultimi cento anni e questo ha portato ad un rinnovamento della tradizione delle leggende. Ai nostri tempi predomina un tipo di leggenda che chiameremo la “leggenda itinerante”. Questo genere letterario è stato spesso divulgato dai giornali e da altri mass-media. Queste nuove saghe sono solo moderne in apparenza perché nel loro contenuto sono adattate al nostro modo di vita contemporaneo. Di regola generale seguono uno schema epico tradizionale. 
SKOGKATT: Ma la gente crede ancora alle leggende? 
ASKELADDEN: Al contrario delle fiabe, che si svolgono nel mondo dell’immaginario, le leggende hanno un carattere veritiero e raccontano di avvenimenti che sarebbero potuti accadere. Gli studi mostrano che alcuni credono mentre altri si mostrano scettici verso ciò che le leggende raccontano. Le leggende si trovano al limite tra la conoscenza reale, la credenza e l’immaginario. La credibilità non può pertanto essere utilizzata per definire la leggenda in quanto questa varia da persona a persona. Per classificare un racconto nella categoria delle leggende conviene stabilire delle distinzioni formali: la leggenda è narrata con uno stile che le conferisce un carattere veritiero: è accaduta una cosa conosciuta e si svolge in un luogo determinato, etc. Le leggende si basano su avvenimenti reali? A questa domanda possiamo rispondere raramente. Spesso vengono raccontate come se i fatti fossero accaduti realmente. Ma quando la cornice di riferimento della leggenda si modifica, muta anche il fondamento sul quale si basa la credenza. Quelle leggende che raccontano di persone attirate nelle viscere della terra da esseri sovrannaturali potevano passare per racconti verosimili fino a che la gente credeva nell’esistenza di tali creature. Sparita questa credenza popolare, le leggende venivano raccontate per puro divertimento senza che nessuno più credesse al loro contenuto. Le leggende danno un’idea della visione che i narratori hanno del mondo. Le chimere colmano le lacune esistenti nel campo delle conoscenze di un individuo. Dal punto di vista stilistico le leggende hanno una forma narrativa obiettiva, ma sono anche l’espressione delle opinioni e dei valori propri del narratore. Esse riflettono inoltre la personalità dei diversi narratori che le hanno trasmesse, in quanto la stessa leggenda può avere dato luogo a diverse interpretazioni ed aver quindi acquisito più significati. 
ASKELADDEN: Sono tutti curiosi di sapere la tua storia e le tue caratteristiche. (Rivolto ai bambini tra il pubblico) È vero bambini che vogliamo conoscere la storia del nostro amico Gatto Skogkatt? (In seguito alla reazione positiva del pubblico) Hai sentito? Allora, parlaci di te! 
SKOGKATT: Io esisto dal tempo dei tempi, ma ad un certo momento sono scomparso, fisicamente scomparso in Norvegia, quindi dalla faccia della Terra. Posso dire di essere rinato grazie all’accoppiamento tra Pippa Skogpuss e Pans Truls. Il gatto delle foreste norvegesi è una antica razza di gatti originaria dei paesi scandinavi, le cui caratteristiche sono state tramandate oralmente nei secoli attraverso racconti e leggende. La storia del Gatto delle foreste norvegesi o Norsk Skogkatt come è conosciuto nel suo paese d'origine, è ricca di leggende legate al popolo dei Vichinghi. Si narra, infatti, che questo antico popolo usasse tenere in casa i gatti dei boschi vicini alle loro abitazioni, e che li portassero sulle loro navi, durante i viaggi, come cacciatori di topi. Alcune leggende norvegesi raccontano che Freyja, dea dell'amore e della fertilità, vagasse per il mondo su un carro trainato da due grossi gatti dal pelo lungo cercando il suo consorte Óðr, e anche che Thor, dio del tuono, fu sottoposto ad una prova di forza che consisteva nel sollevare un grosso gatto. Le prime citazioni storiche, cominciano nel 1559 quando il sacerdote e naturalista danese Peter Clausson Friis, allora residente in Norvegia, divise le linci norvegesi in tre classi: la lince-lupo, la lince-volpe e la lince-gatto. I primi scrittori a fare una collezione sistematica ed una trascrizione delle antiche leggende furono il folclorista Peter Christian Asbjornsen ed il poeta Jorgen Moe. Nel 1835 hanno pubblicato una collezione di storie e canzoni Norvegesi che li ha resi celebri come "I fratelli Norvegesi Grimm". Fino a che nel 1912, l'artista Olaf Gulbransson fece un disegno di un grande campione tipo Skogkatt nella sua autobiografia - il disegno risale a circa il 1910. Negli anni Trenta, a causa della deruralizzazione dell'ambiente selvaggio, l'addomesticamento portò ad un incrocio con gatti di casa a pelo corto. Dato che il gene del pelo corto è dominante, il tipico manto Skogkatt divenne sempre più raro. Già prima della Seconda Guerra Mondiale, un gatto delle foreste venne presentato in una mostra a Oslo, e dopo la guerra pochi ammiratori continuarono con il piano di preservare la razza, utilizzando i migliori e più adatti esemplari che poterono trovare. Nel settembre del 1972 il gatto delle Foreste fu accettato come razza dalle associazioni Norvegesi, e venne dato uno standard preliminare. A questo punto il termine "Norsk Skogkatt" divenne ufficiale; non si tratta di una referenza per i confini geografici (il gatto delle foreste appare anche in altri paesi Scandinavi), ma piuttosto al primo paese che lo riconobbe. Ancora pochi anni prima della vera svolta. Nel 1973 cominciò il programma di allevamento, non fu facile trovare un altro Skogkatt riconosciuto come tale in quel momento, ma ci vollero circa 10 mesi affinché gli allevatori potessero confermare di avere un vero Skogkatt. Iniziato con la femmina di Edel Runas - Pippa Skogpuss, si accoppiò con il maschio di Nylunds - Pans Truls. Nel dicembre del 1975 un gruppo di allevatori appassionati si riunisce fondando il Norsk Skogkattring (club dei Gatti delle Foreste Norvegesi), che lavora per il recupero della razza, che nel 1976 viene ufficialmente riconosciuta dalla FIFé e successivamente anche da tutte le altre associazioni internazionali. Oggi, in Norvegia, questa razza è riconosciuta come razza nazionale e prende il nome di Norsk Skogkatt. Il programma di allevamento fu difficile per gli anni successivi perché vi erano così pochi parenti riconosciuti ufficialmente che un certo numero di incroci tra parenti fu inevitabile. Prima che potesse essere riconosciuta la nuova razza dalla FIFè (Fédération Internationale Féline) dovettero essere autenticate tre generazioni complete. Nell'aprile del 1977, quando c'erano circa 150 Gatti delle Foreste Norvegesi registrati in Norvegia, la FIFè inviò un giudice Tedesco ad uno show in Oslo. Il suo obiettivo era quello di fare un reportage della nuova razza, per aiutare la commissione dei giudici della FIFè a decidere sul suo futuro. Nel novembre 1977, Carl-Frederick Nordane viaggiò fino a Parigi per partecipare all'assemblea generale della FIFé. Portò con sé diverse foto di quella che da li a poco sarebbe divenuta una nuova razza. I giudici riconobbero in Pans Truls, brown tabby con bianco, lo standard con cui si sarebbe identificata l'intera razza ed assegnarono il numero 13 NF standard. La cosa fece molto clamore nel paese d'origine dove alla televisione venne trasmessa la foto di Truls che annunciava che Il gatto delle foreste norvegesi era stato ufficialmente riconosciuto. Di taglia grande, lungo, di costituzione robusta e con solida struttura ossea. La testa è triangolare con tutti i lati uguali, di buona altezza vista di profilo, fronte leggermente arrotondata, profilo dritto senza interruzioni, mento forte. Le orecchie sono grandi, larghe alla base, appuntite, con ciuffetti simili a quelli della lince e lunghi peli che ne fuoriescono. Gli occhi sono grandi, ovali, ben aperti ed obliqui e sono ammessi tutti i colori indipendentemente dalla colorazione del mantello. Espressione attenta. Le zampe sono robuste, alte, con zampe posteriori più alte di quelle anteriori. Piedi grandi e palmati che gli facilitano gli spostamenti sulla neve, arrotondati e proporzionati alle zampe. La coda è lunga e fornita di pelo, girata all'indietro dovrebbe raggiungere almeno le scapole, ma preferibilmente il collo. Il pelo è semilungo. Il sottopelo lanoso è ricoperto da un pelo di copertura lucido e idrorepellente che è formato da peli lunghi, grossi e lucidi che coprono la schiena ed i fianchi. Un gatto in pieno pelo ha una gorgiera, una criniera completa e pantaloncini sulle zampe posteriori. Tutti i colori sono permessi incluse tutte le varietà con bianco. Sono esclusi i disegni di tipo point (siamese), e i colori chocolate, lilac, cinnamon e fawn. È permessa qualunque quantità di bianco. Quando si decide di far entrare nella propria vita un gatto delle Foreste Norvegesi, si accoglie in casa un vero e proprio compagno di vita. Nonostante l'aspetto imponente e un po' selvatico, il Norvegese è un gatto dolcissimo e amante delle comodità. Curioso e partecipe della vita della famiglia con cui condivide le sue giornate, è un ottimo compagno per i bambini ai quali insegna il necessario rispetto che si deve avere nel relazionarsi con lui. Si adattano alla vita di appartamento e alla presenza di altri animali senza grossi problemi. Ovviamente se si ha la possibilità di farli stare all'aria aperta si farà loro cosa gradita ma è assolutamente necessario attrezzare il giardino o la terrazza con tutte le protezioni possibili per evitargli pericolosi incidenti. Riguardo alla toelettatura i Norvegesi non necessitano di eccessive "manutenzioni": basta spazzolarli una o due volte la settimana soprattutto in inverno visto che hanno molto pelo (non si formano però nodi come ad es. nel persiano), e in primavera nel periodo della muta. Va evitato di fargli il bagno (a meno di disastri clamorosi) perché ripetuti lavaggi potrebbero sciupare il loro particolare sottopelo. È buona cosa attrezzare l'ambiente che ospiterà il nostro amico con un buon tiragraffi robusto dove possa andare a farsi le unghie. Per l'alimentazione di base va benissimo una buona qualità di croccantini reperibili nei migliori negozi specializzati in quanto è l'alimento più completo, e poi l'umido, anche qui si consigliano marche naturali, preferibilmente di carne e pesce a pezzetti. Carne senza problemi e pesce senza esagerare perché potrebbe provocare fastidiose diarree. Sia carne che pesce vanno cotti per evitare rischi di parassiti intestinali. Non va dato latte mentre sono indicati, in quantità moderata, yogurt intero e rosso d'uovo. Ora tocca a te a parlare di te. Ci aspettiamo che ci racconti una tua favola. (Rivolto ai bambini fra il pubblico). È vero bambini? Urlategli che ci racconti una sua Storia! 
ASKELADDEN: (Sollecitato dalle urla dei bambini) Ok, vi racconto la Fiaba di “Ceneraccio e i suoi bravi aiutanti”. (Rivolto a Skogkatt) Allora tu seguimi! (Entra dentro un grosso libro) 
SKOGKATT: (Segue Askeladden e si cambia di abito, cambiando così personaggio: fa il Re) 

SIPARIO 

NOTE: 
(1) Espen, detto Askeladden ovvero Ceneraccio perché se ne stava tutto il giorno a trafficare con la cenere attorno al camino, viveva in una casa in mezzo al bosco con i fratelli Pål, il mezzano e Per, il più grande. 
(2) Norsk Skogkatt o Gatto delle foreste norvegesi, è conosciuto nel suo paese come un gatto speciale, la cui storia ha origine antiche, legata al popolo dei Vichinghi. 
(3) “Kvernen som står og maler på havets bunn”. 
(4) “Hvitebjørn Kong Valemon”. 
(5) Tratta dalla famosa fiaba greca della scimmia che era tanto fiera dei propri figli. 
(6) “Østenfor sol og vestenfor måne”. Questa fiaba ed altre storie simili hanno origini che si ricollegano ai miti greci di Amore e Psiche. 
(7) Personaggi sgradevoli e negativi. 
(8) “Ridder Rød”. 
(9) Tra le fiabe il cui tema principale è la realizzazione di un compito difficile, ne troviamo solo una famosa nella tradizione norvegese: è la fiaba “Mandattera og Kjerringdattera” ovvero “la figlia del marito e la figlia della moglie”. Tra le fiabe su avvenimenti magici, i racconti come “Bord dekk deg” “Che la tavola si apparecchi” e la fiaba “Kvernen som står og maler på havets bunn” “il macinino che macina sul fondo del mare”, sono le più conosciute tra le fiabe popolari norvegesi. Le fiabe scherzose rappresentano il terzo grande gruppo di fiabe. Dal punto di vista generale gli elementi sovrannaturali sono meno frequenti in questo tipo di fiaba rispetto alle altre. In compenso da nessuna altra parte si trova un ricorrere di trovate stravaganti e bizzarre come in fiabe tipo “Gudbrand i Lia” “Gudbrand sulla collina” oppure “Kjerringa mot strømmen” “la moglie contro-corrente”. 
(10) Nel prologo alla Saga “Olav Trygvasson” scritta da Odd Snorresøn e nella Saga di “Re Sverre”. 
(11) Ludvig Holberg, il grande scrittore norvegese del XVIII secolo. In Norvegia le fiabe, anche se antiche, non vennero mai messe per iscritto prima del XIX secolo, in quanto rappresentavano un genere letterario non troppo gradito ai letterati delle epoche precedenti. I primi ad accorgersi che le fiabe non solo avevano un significato nazionale ed artistico, ma che potevano anche avere valore scientifico, furono i due etnologi tedeschi Jacob e Wilhelm Grimm. E i due norvegesi, lo scrittore Peter Christen Asbjørnsen e il poeta Jørgen Moen, furono i primi a seguire lo spirito dei fratelli Grimm. 
(12) Del disegnatore norvegese Erik Werenskjold. 
(13) Peter Christen Asbjørnsen e Jørgen Moen (a cura di) Ceneraccio e i suoi bravi aiutanti - Askeladden og de gode hjelperne, Norvegia, XIX secolo.
 
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Bibliografia: L’autrice dell’articolo “Fiabe e leggende popolari della Norvegia”, Birgit Hertzberg Johnsen, è stata lettrice presso il Dipartimento di folkloristica dell’Università di Oslo. Prodotto da Nytt for Norge per il Ministero degli Affari Esteri norvegese. Traduttore: Viviana La Cava Eriksen. Testo prodotto nel 1996 Liestøl: Norsk Folkedikting, (Letteratura del folklore norvegese) Oslo 1936. R.Th. Christiansen: Norske eventyr. Nordisk Kultur IX, (Fiabe norvegesi - Cultura nordica IX) Oslo 1931. R.Th. Christiansen e Knut Liestøl: Norske Folkesagner. Nordisk Kultur IX, (Leggende popolari della Norvegia - Cultura nordica IX) Oslo 1931. Peter Asbjornsen, Jorgen Moe, Fiabe norvegesi, Prezzo di copertina: € 49,06 Vale 76, Ceneraccio e i suoi bravi aiutanti, Paroledautore.net, Internet. 20/2/2009.



venerdì 8 giugno 2018

ANDRÉ RIEU: DISPENSATORE D’ARMONIA NEL MONDO / DISPENSER OF HARMONY IN THE WORLD



Sabato 26 Maggio 2018
la realizzazione del sogno più bello della nostra vita:
una serata al Concerto di André Rieu a Danzica in Polonia

Saturday May 27, 2018
the realization of the most beautiful dream of our life:
an evening at the André Rieu Concert in Gdansk in Poland



  
Alberto Macchi e Angela Sołtys / Alberto Macchi and Angela Sołtys





Scene dallo spettacolo teatrale "Caravaggio", scritto e diretto da Alberto Macchi
Scenes from the theatrical show "Caravaggio", written and directed by Alberto Macchi

Scene dallo spettacolo teatrale "Casanova", scritto e diretto da Alberto Macchi
Scenes from the theatrical show "Casanova", written and directed by Alberto Macchi





 

Towarszystwo Stanislawowskie 


Biglietto d'Ingresso / Entrance Ticket 

Omaggio / Gadget













 




André Rieu a Danzica la mattina dopo il concerto,
con i suoi artisti e con i suoi pullman pronti a tornare nella sua Mestreech
André Rieu in Gdansk the morning after the concert, 
with his artists and coaches ready to return to his Mestreech


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10.06.18 - 0.010


lunedì 23 aprile 2018

NANO BAJOCCO: TESTO TEATRALE, RAPPRESENTAZIONI, WORK-IN-PROGRESS

NANO BAJOCCO: è un testo teatrale in italiano, su due personaggi dallo stesso nome "Baiocco", uno del Settecento e l'altro dell'Ottocento, scritto da Alberto Macchi, a Roma, nel 2016. Inedito.


DALL'IDEA AL TESTO TEATRALE AL DEBUTTO, ALLE RAPPRESENTAZIONI, ALLE REPLICHE:

Anno 2014
- L'autore consulta la Biblioteca del Museo di Roma, per riprendere e completare le ricerche intorno al Nano Bajocco, iniziate alcuni anni prima negli archivi e nelle biblioteche in Italia e in Europa.

Anno 2015
- Alberto Macchi, una volta scritto un testo teatrale, o meglio, un melologo Teatrale su Bajocco, viene invitato dal Museo di Roma a metterlo in scena il prossimo anno, in occasione della Mostra dal titolo “L'arte del sorriso. La caricatura a Roma dal Seicento al 1849”, che si terrà al Palazzo Brasci stesso.

Anno 2016
- Lo spettacolo va in scena con successo.



Locandina dello Spettacolo

Catalogo della Mostra

Pubblicità 

Cast


Foto di Scena

Baiocco del 700 e Bajocco dell'800

Recensione su "Gazzetta Italia" di Varsavia

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Il nano Bajocco... va in scena

La storia del nano Bajocco raccontata con l'animazione teatrale di
Dodo Gagliarde, Monica Carpanese, Edoardo Terzo

Testo e regia
Alberto Macchi

Costumi: Angela Sołtys e Agnieszka Terpiłowska - Foto di Scena: Debora Macchi

Prendendo spunto dalla mostra "L'arte del sorriso", gli attori coinvolgono i visitatori del museo, nella narrazione animata della storia di due nani, entrambi soprannominati "Bajocco", di memoria settecentesca il primo e ottocentesca il secondo.

NOTA DI REGIA:

Gentili spettatori, innanzitutto grazie d’essere tutti qui convenuti per assistere alla nostra performance teatrale che seguirà.
“Il Sogno del Teatro” - Oggi, dunque, noi con voi e voi con noi, vivremo uno straordinario sogno insieme ai viaggiatori del Grand Tour, attraverso i secoli XIX e XVIII, un viaggio che inizierà nei primi anni del Novecento, per procedere a ritroso nel tempo.
“La Magia del Teatro” - Palazzo Braschi, così, per magia, oggi s’è animato, infatti, di svariate caricature di personaggi storici; tra loro, i tre nani “Bajocco”, succedutisi a Roma nel corso del XVIII e del XIX secolo, ovvero Francesco Ravaglia, Giovanni Giganti e Chicchignola, tutti divenuti famosi per essere stati ritratti da vari artisti e citati da diversi grand-touristi nei loro scritti e diari di viaggio.
“I Miracoli del Teatro” - Il Teatro non è soltanto magico; esso fa anche i miracoli! Come quello di apparirci più vero della realtà, o quello di far parlare le anime e i cuori. Infatti oggi, qui, noi ascolteremo, in particolare, la confessione del nano Bajocco, alias Giovanni Giganti, vissuto circa due secoli fa.
“Il Fascino del Teatro” - Il Teatro, la forma d’arte più effimera del mondo, che appare solo ai presenti nel momento che si compie e che svanisce man mano che lo spettacolo si svolge, costituisce però per lo spirito, quel fascino, che poi è l’alimento per l’anima; così come il cibo lo è per il nostro corpo.
Ora, perché meglio si comprenda la figura di “Bajocco”, la sua origine settecentesca e il perpetrarsi a Roma, nell’Ottocento, di questo nome, trascrivo, qui di seguito, un breve passo tratto dalla pièce teatrale che sta per iniziare: «Certo, io sono soltanto un povero attore, interprete di “Chicchignola”, figura creata nel 1932, per una commedia, da Ettore Petrolini, il cui nome scaturisce da “Bajocco” ossia Giovanni Giganti, quel nano vissuto a Roma nella prima metà dell’Ottocento, che tutti chiamavano “Eccellenza”, morto famosissimo, il quale soleva accogliere i clienti al prestigioso Caffè Nuovo in Via del Corso; personaggio ritratto da pittori, elogiato da scrittori e fonte d’ispirazione per compositori e poeti di mezza Europa. Sì, è vero, io sono un piccolo uomo, un povero disgraziato, infelice come lo era lui, però almeno, egli in vita, è stato sempre apprezzato e finanche ricordato dopo la morte».


Trascorriamo, allora, tutti insieme, questi momenti particolari tra realtà storica, ipotesi e immaginazione. Buon divertimento!


Articolo sulla Rivista "Gazzetta Italia" di Varsavia dell'Ottobre 2016

BREVE SCORCIO DEL TESTO TEATRALE:



"DA BAJOCCO A CHICCHIGNOLA"
ovvero
”Dalla maschera di Antonio Salvi del 1715 a quella di Ettore Petrolini del 1932”

Melologo Teatrale
di
Alberto Macchi

TEATROSZTUKA
Roma Warszawa 2015


GIOVANNI: (Dietro le quinte, durante una pausa, considera, assente, immerso in un mondo tutto suo) … ECCO COME S'È MOSTRATO AI MIEI OCCHI, IL MONDO, QUANDO SON VENUTO ALLA LUCE … ... CORRISPONDENTE A QUELLO CHE POI, DA BAMBINO, I MIEI GENITORI M'HANNO PROMESSO CHE SAREBBE STATO PER IL FUTURO ... … OVVERO ABITATO DA TANTE PERSONE STRAORDINARIE, MOLTE DELLE QUALI, NEL CORSO DELLA VITA, AVREI POTUTO ADDIRITTURA INCONTRARE … ... QUINDI – SULL’ONDA DEL “SAPERE AUDE” PRATICATO PER TUTTA LA VITA DA MIA MADRE – SON CRESCIUTO, SÍ EDONISTA, ALTRUISTA E PROFONDAMENTE UMANO, PERÒ A CAUSA DI QUELLE SPORADICHE CHE IO STESSO RITENEVO SCELTE VILI ED EGOISTICHE, PURTROPPO PER ME INCONFESSABILI A CAUSA DELLA VERGOGNA MISTA A PAURA CHE PROVO, HO DOVUTO POI SOPPORTARNE CICLICAMENTE GLI EFFETTI, COSTITUITI DA VUOTI, RIMORSI E TRISTEZZE INFINITAMENTE PROFONDE, ANCHE SE ALTERNATE POI, A FELICITÀ ASSOLUTE, E A MOMENTI DI TOTALE SERENITÀ ... ... INSOMMA, TUTTO QUESTO PERCHÉ AD UN CERTO PUNTO DELLA MIA VITA - UNA VOLTA ACQUISITA LA PIENA CONSAPEVOLEZZA DEL MIO DRAMMA – DOVENDO ACCANTONARE A VOLTE LA MORALE COMUNE, SONO STATO OBBLIGATO A SCEGLIERE DI SERVIRMI DELLA MIA SOLA INTELLIGENZA, COSÍ COME HANNO SPERIMENTATO, PRIMA DI ME, IMMANUEL KANT E MOLTI ALTRI ESSERI UMANI VISSUTI DURANTE L’ILLUMINISMO NEL SECOLO APPENA TRASCORSO ... ... NON HO POTUTO QUINDI SCEGLIERE L’”AUREA MEDIOCRITAS”, OVVERO QUELLA POSIZIONE “IDEALE?” TRA OTTIMISMO E PESSIMISMO, GIACCHÉ QUELLA È CONSENTITA SOLTANTO A CHI NASCE ESENTE DA INCONVENIENTI O DISTURBI, QUINDI CON INNATO QUELLO STATO DI TOTALE PACE INTERIORE, CHE POI COSTUI, DI SOLITO, DECIDE DI MANTENERE PER TUTTA LA VITA, AFFIDANDOSI NEI FRANGENTI NEGATIVI, AD ALTRI O AD UN DIO, CONSAPEVOLE CHE CODESTA CONDIZIONE IN LUI, NIENTE E NESSUNO POTRÀ MAI TURBARE … (Si sente chiamare, fa un sobbalzo ed entra in scena dalla quinta di destra, ingobbito, con cilindro, pastrano e bastone)
BIBIANA: (Entrando in scena dalla quinta di sinistra; rivolta a Giovanni) Vedo che sei pronto. Vieni qui. Tu, da oggi, figliolo, sei “Bajocco”. Lo sapevi?
BAJOCCO: No Mammina, me lo stai dicendo tu adesso, per la prima volta!
BIBIANA: Sai cosa significa essere “Bajocco”?
BAJOCCO: Certo, significa essere una moneta di rame pari a cinque denari.
BIBIANA: Sei un cretino! Una moneta (Ride) ... Allora? … Non lo sai?
BAIOCCO: (Tentennando) Si-gni-fi-ca essere senza denari, essere povero: come a dire “Nun ci’ho un bajocco!”.
BIBIANA: Continui a far l’imbecille? Su, forza! ... Allora?
BAJOCCO: (Tremolante) Sii-gniii-fiiii-ca essere basso di statura, un nano: come si dice? “Sei arto come ‘n bajocco!”
BIBIANA: Vedi che lo sapevi? Ma tu perché ti chiamerai “Bajocco”?
BAJOCCO: Perché sono un nano!
BIBIANA: Non solo! Tu, ti chiamerai ”Bajocco” perché devi rimpiazzare il “Nano Bajocco” precedente che è deceduto appena qualche anno fa, il quale era divenuto tanto famoso tra i grandtouristi qui a Roma; che tornava a casa ogni sera con la sua bisaccia ricolma di bajocchi offertigli da viaggiatori inglesi, francesi, russi, polacchi, spagnoli, boemi, fiamminghi, prussiani, austriaci; tutti pienamente soddisfatti dei servigi da lui ricevuti come, ad esempio, quello di posare da modello per i pittori, o di improvvisare dei versi per i letterati. E, all’occorrenza, egli procurava ai clienti del Caffè Nuovo, cuscini, parasole e dava loro saggi consigli e preziose indicazioni, su dove si trovassero, ad esempio, la Grotta d’Egeria alla Caffarella o il Tempio della Sibilla a Tivoli.
ATTRICE: Giunti sul posto, mamma m’ha subito presentato al direttore del locale che stava attendendomi impaziente, il quale, senza troppe cerimonie, s’è immediatamente rivolto a me:
DIRETTORE: Sai quali sono le tue mansioni?
BAJOCCO: Quelle che, credo, voi avrete già concordato con mia madre, Signor Direttore!
DIRETTORE: Bene! Allora come prima cosa ti nomino Guardiano di Primo Grado del mio Caffè Nuovo a Palazzo Ruspoli. Sei contento?
BAJOCCO: Grazie Signor Direttore.
DIRETTORE: Guardiano, lo dice la parola stessa, significa che farai la guardia durante tutta la notte, seduto sulla soglia del portone d’ingresso ben chiuso col catenaccio, badando bene di salvaguardare da ogni pericolo il mio gioiello di locale, vale a dire, dai ladri, dagli ubbriachi, dai malintenzionati. Di giorno, invece, mentre lavori al servizio dei miei clienti, nel contempo, dovrai badare che non s’accostino cani randagi, pezzenti, prostitute o comunque gente del volgo. Di giorno, poi, avrai il privilegio di fare il Buffone di Corte per il pubblico del mio locale, porterai loro seggiole e giornali, accoglierai insomma ogni loro richiesta. Attenderai in strada, sotto la pioggia o sotto il sole che sia, tutto il tempo; mai all’interno, altro che qualcuno non ti convochi per una necessità. Sai, in strada, a volte, potrebbero passare i pittori e ti potrebbero chiedere di posare da modello per i loro quadri o per i loro disegni. E poi lì potrai esibirti con i tuoi giochetti d’abilità. La metà delle questue e delle elemosine che raccoglierai saranno, questi introiti, la mia paga per tutti i tuoi servigi diurni e notturni presso il mio locale. L’altra metà andrà a rimpinguare le mie tasche a copertura di tutte quelle incomodità che mi andrai a procurare con la tua infelice presenza. Va bene, no? Siamo d’accordo?
BAJOCCO: Sì, Signor Direttore. Potrei mai rispondere altrimenti?
DIRETTORE: Certo che no! (Pausa) Ma ripeti, voglio veder se hai ben capito, se ci siamo intesi.
BAJOCCO: La metà delle questue e delle elemosine che io raccoglierò dai passanti saranno la vostra paga per il mio lavoro presso di voi!
DIRETTORE: Bene, non mi sembra ci sia altro da dirci, … se non che, quando in Carnevale, nel trambusto, fra tric-trac, fischietti e girandole, sfilano le maschere, mentre proprio qui davanti al nostro Caffè le dame più belle posano, a bella posta, irriconoscibili, con la maschere in viso, allineate su quel gradone nel marciapiede di fronte, in attesa che i corteggiatori più galanti, facciano loro delle avances e mentre i cavalli gareggiano all’impazzata lungo tutto il Corso, voi dovrete tenere a bada la situazione, a protezione dei nostri clienti … Ah, volevo aggiungere … Attento, in particolar modo, a quegli scalmanati artisti tedeschi di Tor Cervara, sempre ubriachi.
BAJOCCO: Sì Signore!
DIRETTORE: Lo credo bene! Dove lo vai a trovare un altro lavoro così tranquillo? Praticamente guadagni senza far nulla tutto il giorno e tutta la notte. Sei contento? (S’avvia dietro la quinta di destra per uscire di scena, ma si blocca e si gira a guardare Bajocco)
BAJOCCO: (Fa un gesto vistoso) Ehhhhh! (Ed esce dalla parte sinistra)

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BAJOCCO: … MA POI, CON LA SCOMPARSA DI MIA MADRE, È SOPRAGGIUNTA LA CONSAPEVOLEZZA D'UN VUOTO INCOLMABILE, D'UNA SOLITUDINE SCONFINATA, DI UN'ASSENZA TOTALE D'AFFETTI E D'UMANITÀ, MALGRADO, TUTT'INTORNO, LA PRESENZA D'ALTRI "AMORI?", COME QUELLO D'UNA DONNA, DEI FIGLI, DEI PARENTI, DEGLI AMICI ... ...

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BAJOCCO: (Siede ad un tavolo e scrive, dicendo ad alta voce ogni parola)

Sono nato, chissà per quale misteriosa Evenienza,
 – e chissà a quanti altri sarà capitata questa mia stessa Evidenza –
con il dono della Conoscenza,
e con un cuore ricolmo d’Amore, anche se Senza
- come tutti - un minimo di Sapienza.
Quando poi, però, con l’Esperienza,
è sopraggiunta la Saggezza in tutta la sua Veemenza,
ho potuto ribadire a me stesso che il danaro, su questa terra, non ha alcuna Valenza
e ho riconfermato, in me stesso, la Credenza
che l’uomo nasce sacro in tutta la sua Potenza,
per Conseguenza,
ho presto preso Coscienza
che - malgrado le conquiste della Scienza -
sul nostro pianeta c’è ancora troppa, diffusa, Demenza.
troppa Deficienza,
troppa Decadenza,
ecco che da allora la mia Esistenza
- pur avendo io confidato nella Pazienza -
di fronte all’evidente totale Impotenza,
pian piano, alla fine è diventata, nella sua Essenza,
un triste percorso d’infinita Sofferenza.
Per uno, la cui dignità non ha Scadenza,
per uno che non conosce Diffidenza,
che non conosce Differenza,
che non conosce l’Indifferenza,
che non conosce l'Insofferenza,
che non conosce l’Incoerenza,
che non conosce la Prepotenza,
che non conosce la Violenza,
a cui ripugna l’Apparenza
e ancor più la Maldicenza;
che non è vittima dell’Incontinenza,
che non è mai caduto nell’Indigenza,
che usando la propria Intelligenza,
- anche se ha commesso qualche Imprudenza -
è stato sempre animato da un forte spirito d’Intraprendenza,
per cui, ha acquisito Competenza,
e quindi, reclama Indipendenza;
che, comunque, conosce l’Innocenza,
che riconosce dei doni della Natura, la Consistenza
e che è costantemente consapevole dell’Impermanenza;
allora, in un mondo d’una tale Indecenza,
la Morte - che per alcuni è Paura e per altri Dolore - alla fine, per me, sarà Benevolenza!
E pensare che se io, durante gli anni passati – lo spero ancora oggi -
avessi incontrato qualcuno che l’avesse pensata come me,
che avesse fatto le mie stesse conquiste,
che fosse giunto, insomma, alle mie stesse conclusioni;
oppure mi fossi imbattuto anche in una sola persona
che però avesse avuto una tale fiducia in me,
da potersi affidare totalmente a me,
io mi sarei assunto la grandissima costante responsabilità
di condurla per mano, certo, anzi certi, che così, tutti e due insieme,
anche se obbligati a divincolarci tra i mille ostacoli dell’Ignoranza,
avremmo, comunque, già potuto sperimentare a lungo, qua,
quello che un giorno, poi, tutti proveremo nell’aldilà:
LA FELICITÀ!
(Considera: Lo so, leggendo queste righe, i più rideranno di me, questo però a riprova di quello che io ho, appunto, espresso in queste righe).