domenica 12 gennaio 2014

JAN POTOCKI: TESTO TEATRALE, RAPPRESENTAZIONI, WORK-IN-PROGRESS




JAN NEPOMUCEN POTOCKI è un Monologo teatrale in lingua italiana, scritto da Alberto Macchi a Varsavia nel 2014. Inedito.
DALL'IDEA, AL TESTO, ALLE RAPPRESENTAZIONI:

Anno 2013
- Il testo nasce dalla fusione di tre esistenze tra Settecento e Ottocento, ossia da quella del polacco Jan Nepomucen Potocki, quella del suo antenato l'italiano Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro e quella del suo successivo americano Edgar Allan Poe. 
Anno 2014
- In gennaio le prime letture in lingua italiana, a Varsavia presso il Teatro della Galleria Freta, con gli allievi del laboratorio teatrale
- In febbraio, parte del testo è stato tradotto, dall'italiano in polacco, dalla Dott.ssa Angela Sołtys. Sono continuate le letture delle prime battute in lingua italiana.

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Potocki

e il suo mondo onirico, traCagliostro e Poe


Drammaturgia e regia:
Alberto Macchi


Testo edito da: … - Versione in lingua polacca: …
Progetto foto, immagini e luci: …– Progetto video e fonica: …
P. R. Produzione: …- Assistente alla regia: …
Scene: … – Costumi: …- Grafica: …
Sponsor: …

POTOCKI: SCENA UNICA: Si accendono sulla scena luci colorate, di taglio e a pioggia. Appare un interno surreale. Jan Nepomucen Potocki è seduto di spalle sopra un cubo al centro del palcoscenico.

POTOCKI: (Ha dei fogli in mano e sta declamando, quasi tra sé e sé, il suo Epitaffio) Mamma mia cara, amante del re, prima ancor che di mio padre, ma pur sempre mamma mia, se puoi ascoltarmi! Non potrei e non intendo ritornare nella tua placenta. Questo è certo! Ma perché tu sappia quale uomo hai lasciato su questa Terra, ascolta la mia confessione: “Dalla tua dipartita, Filosofo e Teologo così naturalmente, senza maestri, Maestro ancora d’Innocenza, spesso con comportamenti giovanili, quando non addirittura infantili, benché ormai Guru d’Astuzia, protetto da Lachesi, nella piena consapevolezza dichiaro – Caravaggio, in tutta la sua lealtà, m'è ombra – d'esser un essere creativo, universale, artista …, simmetrico, perfezionista, affatto però noioso, razionale o materialista, d'aver percorso cieli, mari e terre d'altri continenti, d'aver incontrato popoli, animali, piant’e gente; monti, fiumi, laghi, vulcani; d'essermi calato giù nella Storia, giù nel Passato; d’aver vissuto il tempo di Cristo, il Medioevo, d'aver intravisto, in qualche modo, l'Infinito e l'Eternità; tanto che già potrei far a meno d'un prevedibile Futuro. Sano, orgoglioso dei miei molteplici trascorsi, oggi m'interessa d’interessarmi, m'interessa l'infinito, conoscere la Conoscenza, m'interessa curarmi, m'interessa confessarmi. M'interessa la purezza. M'interessan differenze, Scienza ed Arte. Non m'interessa il mito, l'interesse, il tornaconto, l'opportuno, l'apparenza. E m'interesso al tutto, non solo ad una parte, senza preconcetti o pregiudizi, con ottimismo, fiducia e fede infinita; edonista, lussurioso e goloso, a tratti superbo, segretamente intraprendente quanto pauroso, iroso o accidioso in risposta a raggiri, a provocazioni irose o accidiose; investigatore della Natura Umana, scultore di lapidi, non sospetto, con impresso ‘l nome mio, coll’opre mie, col mi’operato; così, per lasciar scritto “Per voi ho lavorato e questo v’ho lasciato! Può esservi utile? E anche perché sappiate ch’anch’io qui ci sono stato”. Mai – assolutamente – avaro od invidioso, sempre artefice della mia vita, adoro il dovere e mi godo quel che ho: la vista, l'udito, il tatto, il gusto, l'olfatto, il corpo, gli altri, la natura, la mente, il coraggio e soprattutto la Paura; sempre fra la gente, tra i personaggi della Storia, fedeli compagni dei miei libri, delle mie notti nella memoria; rispolverati da quegli archivi muti, fra cartacce ammuffite, tra figure impiccate alla graticcia d'un Teatro buio e maleodorante, ancora con le loro maschere sudate indosso, ora tristi, ora festose. E vivo costantemente in mille luoghi: loro con me nei paesi dei miei viaggi, io con loro, nelle loro città, nei loro villaggi, spaziando tra oltre due millenni di suoni, di colori, d'odori e di sapori. "Tempo, Spazio e Sensazioni": questo consente a chiunque, l'Esistenza! E questo, mamma, allora mi son preso e mi prendo, in sostanza. Il danaro oggi: l'indispensabile! E se arriva. Giusto quello che dell'impegno è conseguente. Più che prendere – come facevi tu – in genere do; giacché lusso e dominio, alla fine ho scoperto, non fan per me! Anche perché, se si vuol dominare ... ..., era tuo il motto: "Il Potere Vero è quello che ti riconoscono gli altri, non certo quello che t'arroghi tu o che tu puoi comprarti, dettato dal tuo delirio d’onnipotenza! Ma niente umiltà di fronte all'offesa della dignità. E intolleranza verso la mancanza di rispetto. Un popolo sano, oltre che dell’autorità, ha bisogno di pragmatismo, d’autorevolezza, d’esempi d’armonia; non certo di populismo, d’eroi, di divisioni, di demagogia. (Il Creatore, sceso sulla Terra, mentre 'l suo primo uomo modellava: "A questo mondo, nel bene e nel male, colui che saprà scegliere godrà!",” quasi divertito pensava. "All'altro mondo ho predisposto luoghi di pace e di pena e per ora li gestisca la Morte, poi si vedrà". “D’altronde” – si ripeteva nella mente – “nessuno mi ricompenserà". Quindi, come l'ebbe terminato, lesto disse: "Ch'altro avrebbe a pretendere poi in fondo costui? Sto offrendogli di tutto, gratuitamente! Un dono prezioso in una valle di lacrime qui, un Paradiso, con un Inferno lì"; e poi luce, buio, Ignoranza, Illuminazione. Così, nudo, lo pose al suolo nell’ombra e questi, grazie all’acqua e al sole, visse). Di fronte a riaffioranti orrori d’errori rimossi – spesso trappole di colpe ataviche e d'incidenti infantili, comunque fonti di paure ch’invitano a cambiare – come anche di fronte a tormenti da onte nuove, a volte s’assume la condotta caratteristica de' vili; così si brancola tra disgusto, auto–mortificazione, carità catartica, elemosine consolatrici, espiazione e auto–commiserazione. Ebbene io, dopo certi momenti, mi son chiuso nell'Utopia, nell'Illusione, nella Fantasia, senza soluzione; nel Buddha della mia Essenza, nell'Ermetismo, nella Follia o nella sempre disponibile Divina Provvidenza, distrutto dall'Orgoglio e dalla Gelosia: ier–l'altro; distratto dalla presenza dei miei figli: ieri; corretto dall'amore per la mia sposa: oggi; attratto dalle curiosità di mia nipote: domani, dai viaggi, dallo studio, dalla ricerca, dalla stima per gli altri: sempre. E, per trovarmi, ora vivo ‘l Teatro.  ... e m’accorgo di viver questo trovato me stesso sempre più spesso, ... di viver il sesso, com'un banchetto, com'un appetito. E l'appetito com'un'orgia … Alla fine però, come sempre, m'interessa soprattutto la Natura, lo Spirito e, l'ammetto, «Vivere è amare la vita coi suoi funerali e i suoi balli, trovare favole e miti nelle vicende più squallide. …») io vivo più di sogno che di realtà. Insomma, in questa bolgia, quel ch'in fondo poi m'ha sempre interessato e m'interessa ... è l'Umanità! (Certo sovente deluso, deluso come Cristo, che se un giorno dovesse sfogarsi, direbbe: “Nato fra gli uomini per parlare agli uomini, nel bel mezzo dell’Esistenza fui costretto a tornarmene al Padre mio, fuggendo da certi uomini ignoranti, arroganti, traditori, increduli, diffidenti, rimpianto solo da un manipolo di credenti, abbandonando così a metà percorso il mio progetto terreno iniziale di lavorare, di sposare una donna, di procreare, di vivere e d’invecchiare”). Quell’Umanità ch'esprime altruismo, benevolenza, coscienza, conoscenza della sofferenza, solidarietà, amore, rispetto, infinito rispetto, ... e non certo quella che rivela compassione, comprensione, indulgenza, grazia, perdono, ... commiserazione, pazienza. Guardiamoci dai maestri, dai profeti, dai perbenisti, dai predicatori, dai santi, ... dai benpensanti! Anche se poi, c'è da dire, ch’a questo mondo tutti hanno ragione … e nessuno ha torto – salvo i furbi e coloro che si lamentano! – E guardiamoci anche da quelli che hanno intrapreso un percorso interiore o che hanno già fatto la loro rivoluzione interna, dagli illuminati tronfi d’orgoglio,  presuntuosi, arroccati su se stessi, così noiosamente saggi, catastrofisti, sarcastici, satirici ed istrionici, ch’hanno perso la loro spontaneità, sprezzanti nei confronti di chi è genuino, sereno, di chi non ha il senso del ridicolo, di chi ride per nulla, degli stolti generosi che mantengono la parola data, dei creduloni che fanno subito amicizia. Io, ad esempio, che rassicuro perché so ascoltare, sovente son considerato un Saggio e un Maestro, esempio d'equilibrio per tutti, anche quando mi diverto un mondo e quando faccio divertire, Invece io sono assolutamente insufficiente e vulnerabile, permaloso, sempre pronto a giudicare – anche se spesso disposto a ingoiare l’insensibilità più elementare – infatti, per la Mistica Legge di Causa–Effetto, pel Karma accumulato, per effetto dei Dieci Mondi che son dentro di noi, prov’ora una Collera dolorosissima, ora un'Utopia – nel senso di “Stato Perfetto” – gradevolissima! Io son uno ch’ha sempre sofferto e soffre ancora il suo, ma soprattutto il dolore altrui, quello inflitto dal Potere di re e imperatori, (genti sterminate: impalate, crocifisse, giustiziate o torturate, con tutte le vittime abbandonate); quello procurato dalla Violenza degli uomini (donne e bambini stuprati, uomini evirati, con tutte le vittime – ignorate); quello generato dal Dominio di potenti e prepotenti (creature “squartate” nei villaggi assaltati, “sbranate” nei Circhi, “trafitte” da frecce, lance e spade, “giustiziate” con armi da fuoco, “decapitate o “arse” nelle piazze, persone “massacrate” nelle Città devastate “fatte a pezzi” dai machete dei ribelli, “disintegrate” dalle esplosioni, con tutte le vittime – trascurate) e quello scatenato dalla Natura (popolazioni decimate da terremoti, pestilenze, siccità, carestie, inondazioni, con tutte le vittime – dimenticate); la Violenza gratuita, quella premeditata, quella codarda, devastante, che – come la Malattia e la Morte – mortifica la dignità degli uomini (anche se questi uomini, facenti parte di quella Natura, a volte, loro stessi possono essere strumenti inconsapevoli del Male!). Ecco, io ho imparato a tener testa alla Sofferenza: questo sì! I 'ricchi', coscienti che prima della nascita non possedevano alcunché – neanche la vita! –, una volta giunti su questa Terra, grati, utilizzano tutto quello di cui sono stati dotati, nonché tutto quanto il Creato – infinitamente florido e prodigo! –, offre così naturalmente; e attingono anche dentro di loro, perché consci di disporre, a loro volta, d'una miniera inesauribile d'averi. Per loro la sofferenza è maestra, quindi, nel tempo, arrivano a familiarizzare con le malattie, con la vecchiaia, con la morte. "Che i 'poveri' arraffino tutto il denaro del mondo! Che s'abbuffino di potere! Che combattano tutti i mali, i mali, ch'a loro appaiono particolarmente ostili!", arrivano alfin i 'ricchi' dolorosamente a considerare, impotenti dinanzi a tanta inarrestabile Ignoranza. Mamma, so, grazie a te, che quel Dio che tu hai così tanto venerato, non c'è. Anche se l'avverto nel Creato: l'Infinito e l'Eterno ch'ei generò pei suoi due figli, Universo e Natura; per poi evidentemente dissolversi in esso. Così, cittadino del mondo, conoscitore, turista del mondo, cosciente che prima o poi la vita stanca, (io penso d’abbandonarla a ottant’anni. Certo, non intendo assistere al processo di totale disfacimento del mio corpo, parallelamente a quello del patrimonio del mio paese insieme a quello del patrimonio naturale mondiale!) continuo ad illuminarmi d'Utopia, – ovvero di “Libertà” – quindi di quell'Infinito e di quell'Eternità! Però ho avuto te, per madre, io, quella madre saggia che, instancabilmente, Positività e Ottimismo al figlio addita. Ecco allora perché l'Entusiasmo, Mamma mia cara, m'ha accompagnato, m'accompagna e credo m'accompagnerà per tutta questa vita, anche se, sempre e dovunque, minata dal dolore, da quel dolore derivante dal non poter comunicare quest’Entusiasmo, la cui manifestazione è scambiata per presunzione, alterigia, mortificazione dell’altro. Mai costretto in un ospedale o in un carcere, viaggio ancor’oggi autonomamente e nella totale libertà, continuando a curare le malattie dello Spirito col Bello e col banale e quelle del Corpo col solo cibo. Creativo con la penna come con la pentola, scrivo e cucino pel piacer mio, e pel piacere della mente e della gola altrui. Pel piacer mio, Arte e Carte raccolgo e colleziono, vanità, prim'o poi, da lasciare un giorno, lo so.  Non conosco dipendenza ch'io non voglia: cambio famiglia, cambio paese, cambio abitudini ogni mese. Certo, vivo anche pel piacer degli altri, p'arrivar a restar eterno fra gli altri, per gli amici, di quelli sacri, attenti, intuitivi, intelligenti, che sanno condivider gioie e successi anche quand’essi sono in disgrazia; per salire in cattedra a comunicare il mio sapere, le mie conquiste, o per sostener interessi e ideali altrui. Tra i malati negli ospedali, tra i poveri nelle Confraternite della Misericordia, tra gli artisti in Teatro: questo è stato ed è il mio impegno sociale, politico …, morale. Mamma, devo però ribadirti che, come da bambino, in cor mio, continuo a soffrir pel Male ch’esiste da sempre nel mondo, per le cattive sorti toccate ad altri; per quel qualcosa che in me non va se chi m'è più vicino, più mi ama e più mi stima continua a non corrispondermi quell'offerta complicità ch'io vo cercando. Intanto, comunque, gioisco ancora nel comporre testi pel Teatro e versi fra pastori e pastorelle innocenti del Parnaso, dell’Arcadia, del Bosco Parrasio; disteso sopra verdi erbette,  tra fiori, gentil farfallette, – capricciosissimi animaletti – tra acque cristalline, zeffiretti,accompagnando con la cetra soavi canti, odi e rime anacreontiche; gioisco studiando, ricercando, visitando l’Arte, la sua Storia, osservando le forme, le immagini, l’architetture. Io mi rifaccio a te, mamma cara, ch’hai sempre sentenziato: "Il senso della vita è dare un senso alla vita, anche se consapevoli che tutto è vanità, scegliendo tra un'infinità di sensi e di interessi possibili!" E tu, che ne dici papà? Pensi abbia sopportato troppo e troppo a lungo: egoismo, imbecillità, venalità, aggressioni, polemica, pusillanimità, tapinità, ignoranza, presunzione, prepotenza, pessimismo, odio, … violenza, ... il pianto, il lamento dei perditempo? Qualche volta avrei dovuto gridare? Oppure credi ce l'abbia fatta così, ... a bassa voce? Ma non temere, papà, ora ho capito, ho di nuovo una collana tutta mia ... e così ricca che m’arriva fino ai piedi. È da qualche tempo, infatti, che non getto più le “perle ai porci”. … (Improvvisamente si interrompe e volta il capo a destra di scatto. Poggia da qualche parte i fogli con il suo Epitaffio) Ma voi siete qui? O meglio io mi trovo tra voi viventi? Scusate, ma stavo rievocando il mio epitaffio, da me stesso composto, frutto degli ultimi tempi della mia esistenza, così per ripercorrere un periodo della mia vita terrena. Sarò breve! Qui, in quest’altro mondo nessuno è mai libero di muoversi, di comportarsi. E comunicare con qualcuno è difficilissimo. Dappertutto sono distribuiti custodi che ci controllano, a volte anonimi, incogniti, mescolati tra di noi. Allora, adesso che ho l’impressione d’essere solo qui con voi, vorrei approfittare di questa occasione unica per provare a dissipare ogni vostro dubbio sulla mia vita e sulla mia natura di uomo, di scienziato e di scrittore. Ma non credo sarà facile. Dopo chissà quanto tempo dalla mia morte, potrei addirittura fare confusione circa la cronologia e l’esposizione dei fatti. (Volta il capo di scatto a sinistra) Devo premettere che qui, in quest’altro mondo, dove non regna il tempo, sogno e realtà si alternano nella nostra mente e spesso si mescolano tra di loro. Così la nostra immaginazione e la nostra fantasia viaggiano continuamente a briglie sciolte. Sulla terra, dove invece il tempo confonde la mente in un’altra maniera, accade il fenomeno contrario: che spesso si è propensi a credere..., (Si alza in piedi di spalle) si è inclini a credere..., sì, a credere..., (Si volta verso la platea) a non credere!? Si crede, si pensa. E così la giovinezza passa. (Recupera in fretta due quadri: i ritratti di Cagliostro e Poe) Ne sanno qualcosa loro, Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro (Lo mostra al pubblico) e Edgar Allan Poe (Lo mostra al pubblico). Loro, come me, sono stati condannati a vivere tutta una vita in un breve arco di tempo, di appena mezzo secolo. (Urla, facendo un giro su se stesso, con lo sguardo rivolto verso l’alto) Non è stato così? (Rimette a posto i due ritratti e, mentre li osserva) Tu però, Conte Cagliostro, per quanto riguarda la tua arte, se così si può definire il tuo raffinato metodo d’imbrogliare, sei stato avvantaggiato dalla tua epoca, tempi in cui prevalevano le frivolezze, l’apparire. Oggi, dopo la Rivoluzione Francese, in cui prevale la concretezza della vita, non avresti potuto abbindolare di certo nessuno, … a Varsavia arrivasti a convincere perfino me ad affiliarmi alla tua inesistente farneticata Loggia Massonica.

(FILMATO)
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Tu invece, caro Maestro Poe, vissuto per lo più dopo la mia morte, ti devi essere così tanto ispirato a me, che hai perfino scritto un libro intitolandolo “Manoscritto ritrovato in una bottiglia” ad emulare il mio “Manoscritto ritrovato a Saragozza”, quasi a certificare, come me, che: “questa storia non l’ho scritta io, non l’ho inventata io, sono i testimoni che raccontano questa storia, io faccio solo da tramite, non date la colpa a me di quanto avviene”. (Pausa) Di te, tra i mille aneddoti della tua vita, è rimasto particolarmente famoso quello in cui ...

(FILMATO)
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Approfitto ora di questa forse unica opportunità che ho di parlare e confesso, qui davanti a questa platea: Perché sono fuggito dall’Europa e mi sono ritirato nella mia cittadina Uładówka in Podolia,? (Gridando) Perché le strade, le corti e i salotti di Vienna, di Parigi, di Varsavia, di Londra, di Pietroburgo e di Berlino erano divenute così insicure, con tutti quei lazzaroni e avventurieri  che le abitano e le frequentano. E poi perché l'Europa dei salotti, delle biblioteche, delle conversazioni e dei viaggi tranquilli, ormai è travolta dalla Rivoluzione. Ma io mi sono ritirato nella mia Uładówka, soprattutto perché quelle città europee mi hanno avvelenato… il corpo, la mente, il sangue! (Al centro della scena) E ora tutti mi vengono a dire che sono malato, perché, secondo loro, io starei vivendo il mio corpo come un luogo insidioso, inabitabile. Tutti bravi a dire! Io sto male, in conseguenza di quel subdolo ed infame avvelenamento. Altro che! (Pausa) Qui almeno io abito il mio corpo, nel senso che mi sento a casa! Soltanto qui, nella mia città, mi sento tranquillo, accolto da me, dentro di me, in uno spazio che mi riconosce e mi contiene. E ciò mi permette di sperimentarmi in un benessere che caratterizza la mia esistenza, il mio stare al mondo. (Pausa) Io sono figlio e nipote della nobiltà, della ricchezza, dei privilegi, nato da una delle più antiche famiglie della Polonia imparentata con i Lubomirski che possiedono terre dalla Slesia alla frontiera turca, vetrerie, distillerie, immensi pascoli e foreste, finanche palazzi a Parigi. Nato e cresciuto in un castello, a Pikow, con una cugina autoritaria e pettegola, poi con una moglie e una suocera che venivano ricevute da Maria Teresa, da Luigi XV e da Luigi XVI, invitato nei più bei castelli e palazzi d'Europa, come quello di. Versailles o di Łancut. Le stanze dove son  vissuto erano gremite di oggetti cinesi, salotti turchi, panoplie arabe e tartare, quadri italiani e francesi, libri venuti da Parigi da Roma, da Amsterdam. Mi  son cullato nel profumo e nell'agio spendendo danaro di cui ignoravo l'origine. E checché se ne dica, non sto certo vivendo, al pari di taluni, la malattia come scelta di vita. Lo sa bene il mio servo turco che m’è stato sempre accanto! Se ora sento dolore allo stomaco e ieri alla testa, ripeto, è perché sono stato avvelenato. Invece giù tutti a sentenziare: “Il tuo isolamento ti sta portando progressivamente a sentirti turbato, quasi paralizzato in una situazione che prima o poi ti apparirà senza uscita. Se continui a vivere in quest’isolamento finirà che non potrai più vivere la tua vita. E sopraggiungerà lo sconforto quando t’accorgerai di non farcela più a vivere. E allora ti succederà di incominciare a bere per cercare d’alleviare il dolore e la disperazione. E così di bicchiere in bicchiere vedrai sparire anche quei pochi denari che ti rimangono. (Pausa) Invece, a dispetto di tutti, io son qui che creo, che compongo prose e versi, che dipingo, che coltivo i miei più fantastici e insani propositi. E poi, c’è da dire, che sono anche uno scienziato e un filosofo oltre che uno scrittore ed un viaggiatore, un poeta, un filantropo. E la mia vita è colorata. E i miei colori sono il rosa delle rose, l’azzurro del cielo, il colore delle arance, il grigio delle pietre dei Carpazi, il rosso del cinabro d’oriente, l’ocra delle terre d’occidente. Ho abbandonato l’Europa con dolore, non crediate! L’Europa a me cara per la presenza dei tanti geni che vi coesistono. (Stacca un pomello del coperchio dalla sua teiera d’argento) Ma ora lasciatemi stare! Lasciatemi solo! Dico a voi! (Indica il pubblico) Ricordate che noi tutti siamo in balia del Male. (Incomincia a limare il pomello d’argento per farne una pallottola) È lui che governa il mondo, che non ci consente di scegliere di nascere, che non ci consente, o quasi, di scegliere di ammalarci o di morire. Egli peraltro ci costringe ad essere spesso suoi strumenti: quando ad esempio minacciamo, aggrediamo o uccidiamo. Anche la natura è al servizio del Male. Guardate le sue catastrofi, le sue carestie, le sue epidemie …, sebbene, tra tanto Male, di tanto in tanto faccia capolino comunque il Bene. (Smette di limare la sua pallottola) A volte mi vien da pensare che hanno ragione i protestanti quando asseriscono che l’uomo, in un certo senso, nasce già predestinato. Sono la Predestinazione e la Grazia che tolgono all'uomo il libero arbitrio! (Pausa) Se io dico queste cose è perché conosco il „vero”. Certo il mio „vero”, sia nella vita che nella scrittura, è il mio „vero”, come il mio temperamento in quel momento che sto scrivendo, lo sente. Io, infatti, nella vita e nella scrittura, sono un artista raffinato e sensibile, ma sono anche una creatura concreta, attenta a tutto e a tutti. Nei miei scritti, come ho già detto prima, creo effetti particolari, con forme evanescenti e sfaldate, dai colori confusi. (Riprende a limare la sua pallottola) Certo, la vita stanca! Col passar del tempo la vita, di per sé, stanca chiunque. Scopriamo peraltro che la nostra vita sta volgendo al termine proprio quando sentiamo sopraggiunge questa stanchezza. Un po’ come quando avvertiamo la presenza del nostro cuore, che allora ci si accorge di avere quell’organo malato o quando incominciamo ad aver paura d’aver paura, che si prende coscienza d’aver perduta la serenità. Io sono un malinconico, soggetto a euforie e a scoramenti egualmente violenti. Ma, come ogni melanconico, sono il più molteplice degli esseri umani. E sono un curioso, curioso di tutto ciò che esiste, e dovunque esista o possa avere la più vaga possibilità d’esistere. Sono un pedante, ma, al tempo stesso, con un'immaginazione infinita che mi fa condividere tutte le passioni e le sensazioni che vado incontrando. Amo la ragione geometrica, con l'arroganza dell’illuminista; e vengo affascinato dalle tenebre, dai misteri e dai trucchi che si oppongono alla ragione, e gioco con queste tenebre e con questi misteri. Eppure appaio un amabile gentiluomo in frac, con cravattone e basette. Abitato dal più demoniaco spirito della parodia, che mi consente di prendermi gioco di tutte le cose. Amo il mare, il mare dei miei viaggi, dove ho potuto avventurarmi nel mare pericolosissimo dell'infinito. Conosco l'ebraico, il greco, il latino, l' arabo,  la letteratura esoterica, i libri ermetici, dall'astrologia alla Cabala. Conosco la religione dell'Islam, ho studiato la civiltà egizia e soprattutto quella dei popoli slavi. (Pausa) Quanto a Dio, penso che sia un Essere ineffabile, servito da una moltitudine di demoni: oppure che non esista nessun Dio, ma solo materia, e che l'universo discenda da un qualche acido generatore. (Pausa) Eppure, malgrado il mio egoismo di certi momenti, dettato dalla difesa al mio malessere, io sento che Qualcuno, Qualcosa è con me, è dalla mia parte. (Pausa) Ecco ... (Smette di limare la sua pallottola) La vita nomade mi ha sempre affascinato, anche se poi nulla m’è piaciuto di più che scendere dalla mia sontuosa e vellutata berlina, seguito dalle vetture dei servitori e dei bagagli, entrare insieme al domestico turco in un caffè ebraico, in una taverna cosacca o in un caravanserraglio arabo. Ho attraversato l'Europa, la Turchia, l'Egitto, il Marocco, la Russia, il Caucaso, la Siberia, giungendo fin alle porte della Cina. Adesso che l'Europa è travolta dalla Rivoluzione, per qualche tempo, ho creduto nella dea sanguinaria, giungendo a prendere la parola, a Parigi, dalla tribuna dei Giacobini. Ma presto ho perso ogni speranza nell'utopia. Nessuna rivoluzione può assicurare una felicità definitiva, il secolo d'oro di cui hanno parlato i poeti altro non è che una diversa combinazione di bene e di male. (1)

FOTO CON VRFC: Non appare più nei salotti di Europa, col suo bel frac, la cravatta alta e gonfia, il petto coperto di decorazioni, gli occhi brillanti e accesi, conversando con le signore di storia, politica, letteratura e perdendosi in pettegolezzi. Ora veste come un contadino polacco. Indossa infatti la sukmana, la lunga tunica multicolore, con una spessa fusciacca attorno alla vita.

POTOCKI: Già nel 1792 annunciai al re di Polonia la mia rinuncia a qualsiasi attività politica: “Non voglio più occuparmi di nulla!”, gli dissi. Da quel momento ormai, per me, è esistito ed esiste soltanto il presente. Io e il mio “Manoscritto”, un esempio di Meraviglioso-demoniaco occidentale, che possa paragonarsi al Meraviglioso arabo delle “Mille e una Notte”, con i suoi demoni, le metamorfosi e le apparizioni. (Riprende a limare la sua pallottola) Dovessi saccheggiare tutta la biblioteca dell'universo, prima della mia morte giuro che concluderò questo mio componimento dei demoni e degli spettri del mio Alfonso, in lingua francese! Oggi senza fede nella politica, senza fede nella scienza, senza fede nel divino, divorziato dalla mia seconda moglie, senza figli accanto, pieno di debiti, credetemi, mi sento libero come non mai. (Recupera i fogli con il suo Epitaffio e legge) “Così, come vedi, mamma dolce, in conclusione cos’è che poi t’ho confessato? Tutta la mia contrizione, quindi l’aver faticato tanto a diventar adulto, libero e Santo ... per poi ritrovarmi a farmene un vanto qui da solo, io soltanto, bambino castigato e peccatore, sempre con quell’antico peso dentro ‘l core … . Sento già la tua voce suadente ed incolore sussurrarmi nell’orecchio: ”Ma proprio per questo, Eletto del Signore!” … Sì, ma intanto, solo, in mezzo agli altri, muoio anni prima, “non tanto per incomunicabilità, ma perché fin quando un uomo al mondo soffrirà io mi logorerò e non potrò esser felice, quantunque pratichi con successo la Ricerca che, come la Fede, dovrebbe costituire la chiave d’accesso alla Felicità”, e quantunque tenga sempre presente la prima delle Quattro Nobili Verità: “L’Esistenza è Dolore”, da cui s’evince che a questo mondo i sani sono i i tristi e i disperati e, di conseguenza, i malati tutti gli altri. “Che meraviglia questa mia nuova età!” spesso mi ripeto anche se tra un poetico lamento per un malanno ed un altro malanno, seguito da un’altra laconica lagnanza. E lo penso davvero! … Il segreto? Alla Vecchiaia e alla Morte ci si deve preparare anni addietro con metodo e con costanza, allor, quando ancor vecchi non si è. “Quindi, mamma, rido e sorrido, sempre “beato fra le donne” – da qualche tempo, tra loro, impegnata a sedurmi, c’è anche la Morte –, tutte, come te, affascinanti, stimatissime, passionali, mentre accarezzo un gatto, l’idea d’un altro viaggio lontano, un libro, il mio Teatro, il gelo, i climi infernali, la salute assente, gli amici superstiti …, le ultime libagioni, …, gli ultimi baccanali”. (Lascia cadere in terra i fogli di carta dell’Epitaffio) Napoleone avrebbe fatto meglio ad uccidersi, come uno di quegli eroi antichi, invece di lasciarsi esiliare all'isola d'Elba, fino al sopraggiunger della Morte. (Dispone la pallottola nella sua pistola) La più bella fine che un uomo possa fare è la fine volontaria!

FILMATO: Esce di casa. Porta a far benedire la sua pallottola da un prete, in una chiesa. Torna a casa. Si Punta la pistola alla tempia e si spara.
VRFC: Il Conte Jan Nepomucen Potocki costruì la propria morte come un'opera di artigianato, meticolosa, bizzarra, lungamente preparata: protetta dalla dolcezza della madre e della sua, sia pur confusa, fede cattolica.

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BIBLIOGRAFIA:

(1)     Pietro Citati, Jan Potocki, lo scrittore che sfidò l’universo, in “La Repubblica.it”, 17.06.1990
J. Potocki, Podróże. Zebrał i oprac. L. Kukulski, Warszawa 1959.
J. Potocki, Parady. Tłum. J. Modrzejewski. Oprac. L. Kukulski, Warszawa 1966.
R. Caillois, Dzieje człowieka i książki. Tłum. L. Kukulski, W: Odpowiedzialność i styl, Warszawa 1967.
Władysław Kotwicz, Jan hrabia Potocki i jego podróż do Chin, Wydawnictwo Lux, Wilno 1935.
Jean Potocki, Manuscrit trouvé à Saragosse, première édition intégrale établie par René Radrizzani, Paris, Editions José Corti, 1989.
A. Kroh, Jan Potocki. Daleka podróż, tłum. W. Dłuski, Warszawa 2007.
F. Rosset, D. Triaire, Jan Potocki, tłum. A. Wasilewska, Warszawa 2006 (W.A.B., 514 str., ISBN 83-7414-234-0).
T. 6, cz. 1: Oświecenie. W: Bibliografia Literatury Polskiej – Nowy Korbut. Warszawa: Państwowy Instytut Wydawniczy, 1970, s. 69-75.


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