venerdì 11 luglio 2014

EPITTETO: TESTO TEATRALE, RAPPRESENTAZIONI, WORK-IN-PROGRESS


ALBERTO MACCHI

EPITTETO
(EΠIKTETOΣ)



EUROPEAN TEATRO STUKA
Varsavia 2014


"Epitteto", Monologo teatrale biografico, scritto da Alberto Macchi a Varsavia nel 2014. Inedito.

DALL'IDEA ALLA STESURA DEL TESTO, ALLE RAPPRESENTAZIONI:


ANNO 2014

- L'autore ha incontrato questo saggio, nel corso delle sue interminabili ricerche storiche, artistiche, filosofiche, letterarie, già qualche anno addietro ma, proprio trenta anni dopo aver scritto la vita di un altro saggio, Shakiamuni, nel gennaio di questo anno, a Varsavia, decide di iniziar a comporre quest'altra pièce teatrale.
- Terminata in luglio la stesura del breve testo teatrale, l'autore esperimenta la validità di questo monologo proponendolo egli stesso sotto forma di lettura drammatizzata presso il Teatro 84 di Roma, ad una ristretta cerchia di amici. 

SCENA: Vestito semplicemente con una tunica, è seduto in silenzio al centro d’una scena scarna, Epitteto si stropiccia il viso, gli occhi, il naso. Una luce grigia a pioggia lo illumina.

EPITTETO: (Con tono dimesso) Quando nell’anno 50 son venuto alla luce a Ierapoli, una splendida cittadina della Frigia, i miei avrebbero dovuto chiamarmi direttamente “Schiavo”, sarebbe stato più onesto, anziché affibbiarmi il nome di Epitteto, ossia di “Acquistato”. Nato in stato di schiavitù in quanto figlio di schiavi, sono stato effettivamente acquistato molto presto, certo non perché ceduto, anzi mio padre e mia madre mi amavano e avrebbero voluto tenermi con loro, ma perché proprietà assoluta, anch’io come i miei genitori, del padrone, il quale aveva la facoltà di disporre, a suo piacimento, della nostra sorte, di noi, tutti e tre individualmente. La mia vita, fin dall’inizio è stata tutta un tormento. (Si alza) Vissuto sotto l’impero di Nerone, dei Flavi, di Traiano e di Adriano, ne ho potute vedere e subire di cose! Così, come pure Stazio, Tacito, Svetonio, Plinio il giovane e Plutarco, tutti miei contemporanei, ma loro personaggi illustri delle scuole e delle accademie, io invece avevo appena qualche discepolo che mi seguiva; tra costoro, Arriano, un ricco e colto cittadino romano che, venuto in terra frigia per studiare la lingua e la filosofia greca, aveva approfittato di quell’occasione per assistere ai miei sermoni consolatori e alle mie diatribe, che io tenevo di nascosto del padrone e delle autorità, alla presenza di sparuti discepoli, in luoghi segreti. Quando fui comperato e condotto a Roma da Epafrodito - un funzionario romano d'origine greca, che, anche lui, fu schiavo, ormai però definitivamente libero perché affrancato dall'Imperatore Claudio - mi assalì come un sollievo: mi si prospettava dinanzi la speranza d'una vita futura migliore, anche se ero divenuto zoppo e malridotto per le violenze subite del padrone e anche se di costituzione gracile perché malnutrito e cagionevole di salute fin dalla nascita. Infatti, in quel momento, a Roma, Epafrodito era considerato un personaggio di primo piano, in quanto divenuto segretario di Nerone, quindi un uomo ricchissimo e potente. (Afferra una coppa) Cosa potevo sognare io, per me, dentro di me, che m'ero dovuto istruire di nascosto e non tramite i libri, ma carpendo ogni parola che sortiva dalle sapienti bocche altrui, analizzando ogni comportamento, da sempre? (Si versa del vino) A cosa potevo aspirare io che sapevo dentro di me d'essere stato dotato dalla natura, di sapienza, di profonda sensibilità e di capacità d'analisi? Volevo diventare un modesto precettore all’interno d’un gruppo di adepti affiatati, compiacenti, complici con me e a me sinceramente affezionati. Non sapendo io, ne leggere e ne scrivere, non potevo certo aspirare ad esercitare liberamente una tale professione presso qualche famiglia patrizia. Io ero in grado d'offrire soltanto la mia rozza innata e pur anche raffinata acquisita saggezza nascosta. (Beve tutto d’un sorso e posa la coppa) In seguito però, essendo rimasto a lungo al servizio di Epafrodito, per iniziativa di lui stesso, in quanto da lui stimato, ricevetti l’offerta di istruirmi seriamente e di frequentare a Roma lezioni regolare di Gaio Musonio Rufo, il più celebre filosofo stoico di quegli anni, insieme al mio, in seguito, divenuto amico Aruleno Rustico. Con Rufo quindi studiai la filosofia di Socrate, greco e quella di Seneca, romano. Ecco allora che, qualche tempo dopo, quel gruppo di adepti affezionati, da me tanto desiderato, si venne a creare; e a Roma si diffuse presto una strana fama che mi riguardò, quella d'un filosofo giunto dalla Grecia, considerato uno stoico autentico, per aver saputo sopportare con assoluta dignità, malgrado il corpo indebolito dalle malattie, tutti quei mali fisici e dello spirito e tutti quei maltrattamenti subiti durante tanti anni di schiavitù. Il messaggio che io invece volevo m'ero prefisso d'inviare agli uomini della terra era il seguente: “Esistono una infinità di modi di vivere, una infinità di modi di dare un senso all’esistenza, rincorriamoli pure, ma non cerchiamo di eludere la nostra realtà individuale e collettiva, sfuggendo alla nostra ragione con espedienti falsi come le bugie, le fughe o la corsa alla ricchezza e al potere o la dedizione con la massima abnegazione atta a salvare gli altri, da noi considerati come nostri simili, da amare; oppure l’egoismo o la violenza e l’intolleranza verso gli altri, da noi visti tutti come nemici da combattere e da cui ben guardarsi. Ognuno deve obbedire alla propria ragione, perché ognuno di noi, di quella specifica pasta è fatto; ma senza smettere d’osservare gli altri esseri viventi e tutte le cose, i loro effetti, i loro comportamenti, in modo da tentare d’individuare il perché noi stiamo vivendo questa esistenza e accrescendo così, sempre di più, con la debita curiosità, la nostra conoscenza, unico motivo certo per cui siamo nati”. (Lunga pausa) Epafrodito, il mio ex padrone, mi ha seguito, assistito e protetto fino alla sua morte. Ex perché  come io ebbi compiuto trent’anni, mi rese libero per sempre; mentre egli, per aver seguito nel passato Nerone durante la fuga e per averlo aiutato a suicidarsi, venne prima esiliato e poi condannato a morte da Domiziano. Anche io successivamente stavo correndo il rischio della pena capitale. Domiziano infatti cominciò a perseguitare i filosofi, i matematici, gli astrologi, considerati sostenitori dell'opposizione dei patrizi e dei senatori, tutte persone che infatti erano soliti ricorrere a noi stoici per l’istruzione dei loro figli e o per essere consigliati in certi frangenti della loro vita. Anche il mio amico Aruleno Rustico venne ucciso, però, sembrò perché con certi suoi scritti, egli avesse voluto offendere addirittura l’imperatore. Così, ormai quarantatreenne, decisi di stabilirmi a Nicopoli, nell’Epiro, in Grecia, dove fondai una scuola che subito si riempì di seguaci. Pur avendo scelto di vivere nella totale austerità, senza denaro e appena col necessario, mi concedetti un viaggio a Olimpia e uno ad Atene, per poter assistere, almeno una volta nella vita, ai giochi olimpici e per visitare l'Acropoli. Avevo assistito a Roma ai giochi circensi nell'Anfiteatro Flavio e visitato il Pantheon, non potevo allora ignorare lo Stadio di Altis e il Partenone! Pur non essendomi sposato e pur non avendo avuto figli, mi sono invecchiato bene; anzi in tarda età ho deciso di prendere con me una donna che accudisse un bambino orfano da me preso in adozione già qualche tempo prima. Non mi sono mai curato di scrivere dei libri, forse per pigrizia, chissà, o forse perché c’è sempre stato qualcuno dei miei discepoli che ha preso nota durante ogni mio sermone o durante le mie frequenti dissertazioni, come il mio da sempre fedele seguace Flavio Arriano di Nicodemia. (Pausa) Ora però, devo dire, che malgrado le mie umili origini e la mia condotta da anacoreta, sto godendo della massima deferenza da parte di molti che mi hanno scelto come loro maestro di vita; ma soprattutto sto beneficiando dell'amicizia di Adriano, erede al trono dell’Impero di Roma, appena giunto qui a Nicopoli appositamente per consultarmi. Eppure io non mi sento maestro d’alcun di loro. Credo semplicemente d’esser nato con una facoltà di “pro-àiresi” fortemente sviluppata e di aver raggiunto, grazie ad una altrettanto sviluppata facoltà di “di-àiresi”, appena una parte infinitesimale della Conoscenza e della Sapienza, ma che se studiata e diffusa, questa mia piccola conquista fatta, possa intanto consolare chi soffre pigramente per inconsapevolezza cronica ed ispirare e stimolare altri alla ricerca della felicità. (Siede e si accovaccia chiudendosi in se stesso, mente la luce sfuma lentissimamente)
1° VFC: “Saggio è colui che sa attribuire alle cose il loro valore e che sa accordare perfettamente le proprie azioni pubbliche e private a quel valore”, più o meno l’”Ottuplice Sentiero” del Buddha. Nell'ideale stoico è il dominio sulle passioni che permette allo spirito il raggiungimento della Saggezza. Riuscire è impegno individuale e scaturisce dalla capacità di disfarsi delle idee e dei condizionamenti che la società in cui vive gli ha impresso. (Buio)
2° VFC: E qualora non mi riuscisse?
1° VFC: Giacché tu sei nato per il tuo utile; se ti è utile avere un fondo, ti è utile anche sottrarre quello di chi ti è dintorno; se ti è utile avere una toga, ti è utile anche rubarla alle terme.

FINE

EPITTETO
(EΠIKTETOΣ-EPICTETUS)


EPITTETO - EΠIKTETOΣ (Ierapoli 50 - Nicopoli d'Epiro 130 circa) Filosofo greco.

PUBBLICAZIONI DEL MANUALE DI EPITTETO:



Traduzione di Lazzaro Papi

Traduzione di Giacomo Leopardi


0.023 - 15.1.15