"Epitteto", Monologo teatrale biografico, scritto da Alberto Macchi a Varsavia nel 2014. Inedito.
DALL'IDEA ALLA STESURA DEL TESTO, ALLE RAPPRESENTAZIONI:
ANNO 2014
- L'autore ha incontrato questo saggio, nel corso delle sue interminabili ricerche storiche, artistiche, filosofiche, letterarie, già qualche anno addietro ma, proprio trenta anni dopo aver scritto la vita di un altro saggio, Shakiamuni, nel gennaio di questo anno, a Varsavia, decide di iniziar a comporre quest'altra pièce teatrale.
- Terminata in luglio la stesura del breve testo teatrale, l'autore esperimenta la validità di questo monologo proponendolo egli stesso sotto forma di lettura drammatizzata presso il Teatro 84 di Roma, ad una ristretta cerchia di amici.
SCENA:
Vestito semplicemente con una tunica, è seduto in silenzio al centro d’una
scena scarna, Epitteto si stropiccia il viso, gli occhi, il naso. Una luce grigia
a pioggia lo illumina.
EPITTETO: (Con tono dimesso) Quando nell’anno 50 son venuto alla luce a
Ierapoli, una splendida cittadina della Frigia, i miei avrebbero dovuto
chiamarmi direttamente “Schiavo”, sarebbe stato più onesto, anziché affibbiarmi
il nome di Epitteto, ossia di “Acquistato”. Nato in stato di schiavitù in
quanto figlio di schiavi, sono stato effettivamente acquistato molto presto, certo
non perché ceduto, anzi mio padre e mia madre mi amavano e avrebbero voluto
tenermi con loro, ma perché proprietà assoluta, anch’io come i miei genitori,
del padrone, il quale aveva la facoltà di disporre, a suo piacimento, della nostra
sorte, di noi, tutti e tre individualmente. La mia vita, fin dall’inizio è stata tutta un
tormento. (Si alza) Vissuto sotto
l’impero di Nerone, dei Flavi, di Traiano e di Adriano, ne ho potute vedere e
subire di cose! Così, come pure Stazio, Tacito, Svetonio, Plinio il giovane e
Plutarco, tutti miei contemporanei, ma loro personaggi illustri delle scuole e
delle accademie, io invece avevo appena qualche discepolo che mi seguiva; tra costoro, Arriano, un ricco e colto cittadino romano che, venuto in terra frigia per
studiare la lingua e la filosofia greca, aveva approfittato di quell’occasione
per assistere ai miei sermoni consolatori
e alle mie diatribe, che io tenevo di nascosto del padrone e delle autorità,
alla presenza di sparuti discepoli, in luoghi segreti. Quando fui comperato e
condotto a Roma da Epafrodito - un funzionario romano d'origine greca, che, anche lui, fu schiavo, ormai però definitivamente libero perché affrancato
dall'Imperatore Claudio - mi assalì come un sollievo: mi si prospettava dinanzi
la speranza d'una vita futura migliore, anche se ero divenuto zoppo e malridotto per le violenze
subite del padrone e anche se di costituzione gracile perché malnutrito e cagionevole di salute fin dalla nascita. Infatti, in quel momento, a Roma, Epafrodito era considerato un personaggio di primo piano, in quanto divenuto segretario
di Nerone, quindi un uomo ricchissimo e potente. (Afferra una coppa) Cosa potevo sognare io, per me, dentro di me,
che m'ero dovuto istruire di nascosto e non tramite i libri, ma carpendo
ogni parola che sortiva dalle sapienti bocche altrui, analizzando ogni comportamento, da
sempre? (Si versa del vino) A cosa
potevo aspirare io che sapevo dentro di me d'essere stato dotato dalla natura, di sapienza, di profonda
sensibilità e di capacità d'analisi? Volevo diventare un modesto precettore all’interno
d’un gruppo di adepti affiatati, compiacenti, complici con me e a me sinceramente affezionati. Non sapendo io, ne leggere e ne
scrivere, non potevo certo aspirare ad esercitare liberamente una tale professione presso qualche famiglia patrizia. Io ero in grado d'offrire soltanto la mia rozza innata e pur anche raffinata acquisita
saggezza nascosta. (Beve tutto d’un sorso e posa
la coppa) In seguito però, essendo rimasto a lungo al servizio di Epafrodito, per
iniziativa di lui stesso, in quanto da lui stimato, ricevetti l’offerta di
istruirmi seriamente e di frequentare a Roma lezioni regolare di Gaio Musonio Rufo, il più
celebre filosofo stoico di quegli anni, insieme al mio, in seguito, divenuto amico
Aruleno Rustico. Con Rufo quindi studiai la filosofia di Socrate, greco e quella di
Seneca, romano. Ecco allora che, qualche tempo dopo, quel gruppo di adepti
affezionati, da me tanto desiderato, si venne a creare; e a Roma si diffuse presto
una strana fama che mi riguardò, quella d'un filosofo giunto dalla Grecia, considerato
uno stoico autentico, per aver saputo sopportare con assoluta dignità, malgrado il corpo indebolito dalle malattie, tutti quei mali fisici e dello spirito e tutti quei maltrattamenti subiti durante tanti anni di schiavitù. Il messaggio che io invece
volevo m'ero prefisso d'inviare agli uomini della terra era il seguente: “Esistono una infinità di
modi di vivere, una infinità di modi di dare un senso all’esistenza, rincorriamoli
pure, ma non cerchiamo di eludere la nostra realtà individuale e collettiva, sfuggendo
alla nostra ragione con espedienti falsi come le bugie, le fughe o la corsa alla
ricchezza e al potere o la dedizione con la massima abnegazione atta a salvare gli
altri, da noi considerati come nostri simili, da amare; oppure l’egoismo o la
violenza e l’intolleranza verso gli altri, da noi visti tutti come nemici da
combattere e da cui ben guardarsi. Ognuno deve obbedire alla propria ragione,
perché ognuno di noi, di quella specifica pasta è fatto; ma senza smettere d’osservare
gli altri esseri viventi e tutte le cose, i loro effetti, i loro comportamenti,
in modo da tentare d’individuare il perché noi stiamo vivendo questa esistenza
e accrescendo così, sempre di più, con la debita curiosità, la nostra
conoscenza, unico motivo certo per cui siamo nati”. (Lunga pausa) Epafrodito, il mio ex padrone, mi ha seguito,
assistito e protetto fino alla sua morte. Ex perché come io ebbi compiuto trent’anni, mi rese
libero per sempre; mentre egli, per aver seguito nel passato Nerone durante la fuga
e per averlo aiutato a suicidarsi, venne prima esiliato e poi condannato a
morte da Domiziano. Anche io successivamente stavo correndo il rischio della pena capitale. Domiziano infatti cominciò a perseguitare i filosofi, i
matematici, gli astrologi, considerati sostenitori
dell'opposizione dei patrizi e dei senatori, tutte persone che infatti erano soliti ricorrere
a noi stoici per l’istruzione dei loro figli e o per essere consigliati in
certi frangenti della loro vita. Anche il mio amico Aruleno Rustico venne ucciso, però, sembrò perché
con certi suoi scritti, egli avesse voluto offendere addirittura l’imperatore. Così,
ormai quarantatreenne, decisi di stabilirmi a Nicopoli, nell’Epiro, in Grecia,
dove fondai una scuola che subito si riempì di seguaci. Pur avendo scelto di vivere
nella totale austerità, senza denaro e appena col necessario, mi concedetti un
viaggio a Olimpia e uno ad Atene, per poter assistere, almeno una volta nella
vita, ai giochi olimpici e per visitare l'Acropoli. Avevo assistito a Roma ai
giochi circensi nell'Anfiteatro Flavio e visitato il Pantheon, non potevo allora ignorare lo Stadio di Altis e il Partenone! Pur non essendomi sposato e pur non
avendo avuto figli, mi sono invecchiato bene; anzi in tarda età ho deciso di
prendere con me una donna che accudisse un bambino orfano da me preso in adozione già qualche tempo prima. Non mi sono mai curato di scrivere dei libri, forse per
pigrizia, chissà, o forse perché c’è sempre stato qualcuno dei miei discepoli
che ha preso nota durante ogni mio sermone o durante le mie frequenti dissertazioni, come il mio
da sempre fedele seguace Flavio Arriano di Nicodemia. (Pausa) Ora però, devo dire, che malgrado le mie umili origini e la
mia condotta da anacoreta, sto godendo della massima deferenza da parte di
molti che mi hanno scelto come loro maestro di vita; ma soprattutto sto beneficiando dell'amicizia di
Adriano, erede al trono dell’Impero di Roma, appena giunto qui a Nicopoli appositamente per consultarmi. Eppure io non mi sento maestro d’alcun di loro. Credo semplicemente
d’esser nato con una facoltà di “pro-àiresi” fortemente sviluppata e di aver
raggiunto, grazie ad una altrettanto sviluppata facoltà di “di-àiresi”, appena
una parte infinitesimale della Conoscenza e della Sapienza, ma che se studiata
e diffusa, questa mia piccola conquista fatta, possa intanto consolare chi
soffre pigramente per inconsapevolezza cronica ed ispirare e stimolare altri
alla ricerca della felicità. (Siede e si
accovaccia chiudendosi in se stesso, mente la luce sfuma lentissimamente)
1° VFC: “Saggio è colui che sa attribuire
alle cose il loro valore e che sa accordare perfettamente le proprie azioni pubbliche
e private a quel valore”, più o meno l’”Ottuplice Sentiero” del Buddha. Nell'ideale
stoico è il dominio sulle passioni che permette allo spirito il raggiungimento
della Saggezza. Riuscire è impegno individuale e scaturisce dalla capacità di
disfarsi delle idee e dei condizionamenti che la società in cui vive gli ha
impresso. (Buio)
2° VFC: E qualora non mi riuscisse?
1° VFC: Giacché tu sei nato per il tuo utile; se ti è utile
avere un fondo, ti è utile anche sottrarre quello di chi ti è dintorno; se ti è
utile avere una toga, ti è utile anche rubarla alle terme.
FINE
EPITTETO
(EΠIKTETOΣ-EPICTETUS)
EPITTETO - EΠIKTETOΣ (Ierapoli 50 - Nicopoli d'Epiro 130 circa) Filosofo greco.
PUBBLICAZIONI DEL MANUALE DI EPITTETO:
Traduzione di Lazzaro Papi
Traduzione di Giacomo Leopardi
0.023 - 15.1.15