"BONA SFORZA" è un Atto Unico Teatrale, scritto da Alberto Macchi, in lingua italiana, nel 1999 a Tarnów in Polonia, inedito.
Bona Sforza, dai modi garbati, che crebbe con l’affettuoso sostegno di sua madre all’insegna dell’amore cristiano, e che fu educata dal raffinato Mons. Della Casa, (il quale scrisse - dietro consiglio di un delicato familiare del gentile Vescovo Galateo Ghiberti – il “Galateo”, un trattato di buon comportamento), visse in un mondo squisito di artisti, come il leggiadro scultore e orefice Lorenzo Ghiberti, l’aggraziato pittore e decoratore Pietro Vannucci e la discreta poetessa Isabella Morra. Stranamente però Bona Sforza si fidò e fu amica sincera soltanto dello scurrile poeta Pietro L'Aretino. (Considerazione dell'autore, Roma 2007)
DALL'IDEA, AL TESTO, ALLE RAPPRESENTAZIONI:
Anno 1996-
Fin dall'approdo, a Tarnów in Polonia, di Alberto Macchi drammaturgo e regista teatrale di Roma, scaturisce in lui l'idea di ricercare intorno alla figura di Bona Sforza Regina di Polonia, allo scopo di tradurre in forma drammaturgica, in una fase successiva, il risultato di tali ricerche e di quelle da fare ancora in giro per l'Europa.
Anno 1997
- Ricerche intorno a Re Sigismondo il Vecchio e intorno a Bona Sforza, sua sposa, presso Biblioteche e Archivi in Polonia. Visita dei siti e dei monumenti che si riferiscono alla famiglia reale. Raccolta di documenti e foto.
Anno 1998
- Ricerche intorno alla Famiglia Sforza presso Biblioteche e Archivi in Italia. Visita di siti e monumenti che si riferiscono in paricolare a Bona che nacque e morì in Italia. Raccolta di documenti e foto.
Anno 1999
- Ricerche intorno a Bona Sforza presso Biblioteche e Archivi in Europa. Visita di siti e monumenti che si riferiscono alla sua vita. Raccolta di documenti, foto e materiale vario.
- Stesura del testo teatrale dal titolo "Bona Sforza" pressoché definitivo, testo apprezzato dai Professori Piotr Salwa dell'Università di Varsavia e Stanisław Budzik direttore del Seminario Diocesiano di Tarnów.
Anno 2000
- Continuate le ricerche in Polonia e Italia. Aggiornato il testo teatrale, corredato di un'ampia bibliografia e di note.
Anno 2001
- Continuate le ricerche in Polonia. Aggiornato il testo teatrale, corredato di un'ampia bibliografia e di note.
Anno 2002
- Continuate le ricerche in Italia in particolar modo in Lombardia, in Campania e in Puglia. Aggiornato il testo teatrale, corredato di un'ampia bibliografia e di note.
Ann 2008
- Continuate le ricerche in Polonia. Aggiornato il testo teatrale, corredato di un'ampia bibliografia e di note.
Anno 2009
- Ultimato il testo assolutamente definitivo a Varsavia, con il titolo "La Donna Bona". Consegnata una copia del testo a Monika Werner di Varsavia studiosa di Bona Sforza.
Testo definitivo
Anno 2010
- Lettura drammatizzata, a cura dell'autore, al Teatro "Enrico Marconi" di Varsavia durante il Laboratorio Teatrale.
Anno 2011
- Lettura Drammatizzata a cura dell'autore nella Sala Conferenze dell'Associazione "Italiani in Polonia".
- Pubblicata su "Gazzetta Italia" di Varsavia una parte del testo teatrale, sia in lingua polacca che in lingua italiana.
"Bona Sforza", Incisione del XIX secolo
"Galateo", Educatore di Bona Sforza. Incisione del XIX secolo
Articolo "Gazzetta Italia" 11/2011, di Alberto Macchi e Angela Sołtys
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ARTICOLO RELATIVO AL MAR MEDITERRANEO
(Alberto Macchi, Varsavia 2011)
DALLA
POLONIA: SIGISMONDO I IL VECCHIO E BONA SFORZA
Nel XVI secolo il Re di Polonia
Sigismondo I Jagellone il Vecchio, rimasto vedovo, deciso a sposarsi una
seconda volta, ha rivolto lo sguardo verso il Mediterraneo, come moltissimi
altri personaggi della storia da ogni parte del mondo hanno fatto prima e dopo
di lui. Egli, infatti, ha preso in sposa una donna che il Mediterraneo lo
rappresentasse per intero: Bona Sforza, nata a Vigevano nella Pianura Padana, cresciuta
a Napoli sul Tirreno e a Bari sull’Adriatico, figlia di un milanese e di una napoletana
di origini spagnole.
Questo Mare Nostrum degli antichi romani lo attrasse anche quando, in
veste di pellegrino, visitò il Santuario di San Michele sul Gargano nelle
Puglie.
Allora quale mezzo migliore per parlare
di Sigismondo I e di Bona Sforza se non attraverso un passo di un opera
drammaturgica che, anche se con molta immaginazione, tenta di individuare le
loro personalità?
Ecco quindi, qui di seguito, tre scene del mio testo teatrale inedito, dal titolo “Bona Sforza” scritto in Italia e in
Polonia, tra gli anni 1996 e 2007, frutto di ricerche negli archivi e nelle
biblioteche di mezza Europa.
Scena
Terza: INTIMITA'
Cracovia
1530. Una stanza privata del Castello di Wawel. Re Sigismondo è con la sua
sposa, la Regina Bona.
SIGISMONDO: Ti trovo bellissima, mia
dolce sposa.
BONA: E' meraviglioso che oggi tu sia
così in vena di complimenti, mio re.
SIGISMONDO: Un re è anche un uomo, a
tutti gli effetti. E poi oggi, al diavolo le faccende di Stato, voglio
dedicarmi alla mia amata. (L'abbraccia)
BONA: E magari ai ricordi! (Pausa) Devo confessarti che sono sempre
gelosa. Quando ti vedo distratto, assente, allora penso che tu stia con lei,
Barbara, tanto più bella di me. E poi così giovane, scomparsa prematuramente,
ma vissuta sufficientemente per lasciarti tua figlia Jadviga.
SIGISMONDO: Bona, ora sei sciocca! Che
vai a pensare? Barbara l'ho persa appena sei mesi dopo il matrimonio. Oggi per
me lei è ormai morta e sepolta! Costituisce soltanto un vago ricordo, quello
per una persona cara che di certo non va ad interferire nell'amore che nutro
per te. Gelosia, maledetta gelosia italiana …!
BONA: Era tanto gelosa mia madre, che
sua figlia di certo non poteva essere da meno! Ascolta questa vecchia poesia
italiana di parecchi anni fa, quando io non ero ancora nata: "Ho mille
volte ringraziato amore,/ ma più quel santo giorno benedetto,/ che fu dal Ciel
a questo fine eletto/ ch'io viva e mora sol col mio signore.// Se gelosia di
lui sempre ho nel cuore,/ questo è chè l'amo d'un amor perfetto;/ né sol col
senso mira il mio intelletto,/ anzi ardo dentro al cuor del nostro onore.// Or
questa è l'amorosa mia ferita,/ e temo sol d'ogni ombra, perché io l'amo,/ e
sempre sono a lui col cuore unita.// Come presto un bel fior casca dal ramo,/
così vegg'io cascar la nostra vita,/ e però il Ciel al nostro amor sol chiamo
(1).
SIGISMONDO: Ho capito. Vuoi dirmi che
anche tu, come nei versi, “temi sol d’ogni ombra” e “veggi cascar la nostra
vita”!
BONA: Va bene, cambiamo discorso. Dimmi
però come hai vissuto la mia proposta di matrimonio! E' un chiodo fisso che ho
nella testa da sempre. Potevi sposare Anna di Masovia, perché hai preferito me?
SIGISMONDO: "Perché non un'italiana
questa volta?" Mi son detto. "Anche come affare di Stato va bene.
L'Imperatore Massimiliano è suo zio (2). E poi è stato egli stesso a
propormela. Inoltre questa è bionda mentre l'altra era rossa. E chissà che in
futuro, non ne avrò ancora, una mora e magari anche una castana! (Ride e
continua) Bona lo dice il nome, sarà "bona" di nome e di fatto. È,
per giunta, una Sforza e il ché non è poco". (Prendendo il volto di Bona fra le mani) Poi m'avevano detto che
eri una donna sanguigna e vivace, una vera mediterranea, proprio come
desideravo che fosse, una vera dama: il tuo temperamento lo esprimesti già
nella tua prima lettera. Ricordo, una volta mi rivolsi a te, un po' per
galanteria e un po' per far sfoggio del mio latino, in questo modo:
<<Amo, ergo sum!>> Ricordi?
BONA: Si che ricordo, amore mio.
SIGISMONDO Ecco che tu con altrettanta
galanteria, ma nello stesso tempo, con una disinvoltura quasi sfacciata, mi
rispondesti: <<Io invece posso dire nei Vostri confronti, Maestà, che
"Vi amo, ergo sum!">>. <<E' un'osservazione la Vostra,
degna d'una regina>>, m'affrettai a replicare. Allora tu, in una tua
successiva lettera: <<Devo dire, con un pizzico di disappunto, che la
Vostra constatazione e la Vostra affermazione, Maestà, non sono altro che le
espressioni, inequivocabili dell'uomo libertino, mentre la mia dichiarazione è
più semplicemente quella d'una donna innamorata. Allora, mi dissi: "Come
può essere già innamorata di me? Finge naturalmente!" Oggi invece ti dico:
"Tesoro, io amo in quanto tu mi ami. E quindi io sento di esistere in
quanto amo. E chi altra potrei amare se non te che ami me?"
BONA: Vedi che differenza tra noi due!
Il mio amore per te prescinde da qualsiasi "conditio sine qua non".
Io sono come una sorgente che sgorgando, dà origine ad un fiume, mentre tu,
così dicendo dimostri d'essere un fiume che non potrebbe esistere se non ci
fosse una sorgente a generarlo.
SIGISMONDO: (Allontanandosi da Bona) Quando sei così logorroica, per istinto mi
sento quasi avviluppare dallo sdegno. (Riavvicinandosi
a Bona) Ma non voglio congedarmi da te, con il tono di chi è incline al
sospetto, di chi non sa stare al giuoco, di chi non sa apprezzare gli
entusiasmi; pertanto…(l'afferra con forza
e la bacia)
BONA: E' bellissimo aver sposato un uomo
e non un re.
SIGISMONDO: Ma quanto mi sei costata
alle nozze! Un pranzo sontuosissimo con una varietà di portate da far invidia
ai banchetti degli dei dell'Olimpo. Una infinità di invitati, sfarzo, doni. Il
più ricco banchetto di nozze mai realizzato in Europa.
BONA: Non puoi dire che io non abbia
contribuito a questo matrimonio! Ho portato per te dall'Italia, interi carri di
arazzi, preziosi, opere d'arte e denaro. Insomma, oserei dire, una dote da
imperatrice più che da regina.
SIGISMONDO: Ecco che esce fuori la tua
presunzione, il tuo sfrenato orgoglio barese.
BONA: Semmai milanese! O se preferisci,
napoletano.
SIGISMONDO: Dobrze, diciamo italiano.
BONA: Bueno, diciamo mediterraneo.
SIGISMONDO: Ah, già, tu parli anche
spagnolo.
BONA: Si, mia madre, la cui famiglia d’origine
era di Valencia, poteva non farmi studiare lo spagnolo? E poi ha voluto
educarmi un po' come un uomo, capace di governarmi e di governare, in special
modo dopo la morte di mio fratello. Lei era ambiziosa di per se e anche per me.
Voleva recuperare ad ogni costo il Ducato di Milano. E per ciò tentò di
maritarmi a Massimiliano Sforza figlio di Ludovico il Moro, anche se odiava
quest'ultimo con tutte le sue forze. Dopo il fallimento poi avrebbe voluto
darmi in sposa a Filippo di Savoia. Ricordo tentò perfino con qualche nipote di
Papa Leone X, allora che aveva ripreso a circolare fra il popolo una vecchia
canzone riferita a mia madre, accompagnata dalla sordellina o dall'arpa, che
recitava così: (Canta sorridendo)
"Nun me chiammate più Donna Isabella / chiammateme Sabella sventurata /
aggio perduto trentasei castella / la Puglia bella e la Basilicata" (3). (Fa una gran risata) In quelle
condizioni, praticamente senza dote, credo apparissi poco desiderabile.
SIGISMONDO: Insomma, se tu non avessi
sposato me, ne avresti avuti di pretendenti! (Abbraccia Bona
affettuosamente) Ma per me è andata bene così. (Si stacca con uno scatto da Bona)
Anche se devo dire, sei troppo irrequieta e passionale. Noi polacchi non siamo
così effervescenti ed entusiasti come voi italiani. Mi diceva, da ragazzo, il
mio maestro Filippo Bonaccorsi - beh, lui voleva essere chiamato Callimaco, o
meglo Esperiente! - che noi siamo un popolo più discreto e più paziente. Comunque
io ti preferisco così come sei.
BONA: Qualche volta, devo dire, ho la
sensazione, che la tua gente mi guardi con diffidenza, come disapprovasse la
mia ingerenza nelle questioni pubbliche che, secondo loro, dovrebbero
riguardare soltanto te.
SIGISMONDO: E' inevitabile. Tu sei una
presenza forte! Ma certamente non dovrai sentirti un'intrusa. Questo mai! Tu
sei la mia consorte, la madre dei miei figli, quindi la loro regina legittima e
a tutti gli effetti. Forse devi avere ancora pazienza, devi aspettare che anche
loro imparino ad amarti.
BONA: E' vero, ma sono dodici anni che
ormai siamo sposati.
SIGISMONDO: Io, non ho la tua stessa
sensazione. Chissà che non ti sbagli! Domani farò suonare a festa la campana
più grande d'Europa, che ho offerto dieci anni fa alla Cattedrale di Wawel,
questo per annunciare a tutti che sono felice. Va bene così? E che tutti, al
pari di me devono amare la regina!
BONA: Vorrei che questo giorno non
passasse mai. Ti amo, anche se troppo raramente ho il piacere di averti tutto
per me come oggi. Vorrei che tu fossi uno dei Magi, uno degli antichi sacerdoti
Medi che si impegnavano con un voto a dedicarsi per tutta la vita ad una sposa.
SIGISMONDO: In una prossima vita vediamo
di incontrarci tra i sudditi invece! Tra i comuni mortali. Ora devo andare, ti
lascio, piccola mia. Il dovere mi chiama. (Considera)
Oltre ai problemi con l'amministratore delle miniere di salgemma a Wieliczka,
Severin Boner, ci voleva anche la "peste asiatica" adesso, a
sconvolgere ancora di più l'Europa. Non è bastata la calamità che ha prodotto Lutero con la sua denuncia di "Paganesimo
Morale" alla Chiesa di Roma, sostenuto da Zuinglio e da Calvino.
BONA: Per questo scisma, per la riforma,
dobbiamo ringraziare Papa Leone X insieme ai domenicani, che a suo tempo
seppero mercanteggiare con le Indulgenze. (Considera)
Che vergogna! Vendere le Indulgenze!
SIGISMONDO: Chissà, forse è vero, i Papi
non sono infallibili. Ma ora devo lasciarti. (Indossa un mantello)
BONA: A rivederci alla prossima
esistenza. Magari, questa prossima volta però, vediamo d'incontrarci tutti e
due giovani. E possibilmente dalle mie parti, dove potrai gustare la
straordinaria cucina barese o napoletana col famoso torrone barese di Ludovico
Lanza, gli "strozzapreti" e la "cazzata". Noi al sud
dell'Italia siamo gente godereccia, altro che quei "cacafaggioli" e
“magna gatti” dei toscani che piacciono tanto a te!
SIGISMONDO: Lo terrò presente; tanto più
che ho già visitato quelle tue parti (4)! Però vedo che quando ti fa comodo
dimentichi le tue origini milanesi e ti inorgoglisce passare per barese. (Ride)
BONA: (Borbotta qualcosa)
SIGISMONDO: (Torna indietro) Ah, domani mi racconterai del tuo soggiorno a
Vilnus. Dettagliatamente. Ti sei assentata tutti quei giorni senza darmi mai
notizie. Lo vedi che anch'io sono geloso!
BONA: (Sorride) Se è per questo, credo tu abbia dormito sonni profondi.
Avevo sempre alle calcagna i tuoi fidi Decius e Andreas, da "quelle nostre
parti".
SIGISMONDO: Giusto vedrò di farmi
relazionare proprio da loro due, Decius e Krzycki (Lancia un bacio a Bona ed esce)
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(1)
Sonetto
rinvenuto fra le "Rime" del Bellincioni, stampate in Milano nel 1493.
(2)
L'Imperatore
Massimiliano I era sposato con sua zia Bianca Maria Sforza, sorella di suo
padre.
(3)
Da
"La Canzone Napolitana" di Pietro Elia, edita da Pais a Roma nel
1954.
(4)
Sigismondo
I sembra abbia fatto visita, in pellegrinaggio, al Santuario dedicato a San
Michele Arcangelo sul Gargano in Italia.
Scena
Settima: BILANCIO
Anno
1538, Castello di Niepołomice. Il Vescovo Pietro Gamrat e l'architetto
Bartolomeo Berecci sono a colloquio con la Regina Bona nella "Sala
Grande".
GAMRAT: (A Bona) Vedete Maestà, se facciamo un bilancio di questi ultimi
anni, constatiamo che oggi l'individuo non tende più ad una ricerca ansiosa di
Dio all'interno della propria anima e non crede più con cieca obbedienza alla
Sua autorità. Oggi l'uomo sta facendo una scelta forse più difficile, una
scelta che implica la propria responsabilità davanti a Dio, vedi il messaggio
diffuso dalla Compagnia di Gesù. Anche la scienza non è più sapienza
tramandata, ma pura indagine della realtà presente. Copernico ne è la
testimonianza vivente.
BONA: E la politica, Eccellenza?
GAMRAT: La politica, anch'essa non può
essere soltanto l'affermazione di un potere o di una gerarchia, di chi la
pratica insomma, ma dovrà esprimere una lotta di forze alla ricerca di una
costante stabilità. Come è vero che Dio ha creato tutti gli esseri buoni e il
male deriva da un cattivo uso della libertà, anche da parte degli angeli, così
è pur vero che la creatività e la sete di conoscenza - non più contemplazione
della creazione - sono la ricerca inquieta, la curiosità, la scoperta del
nuovo, che poi in fondo non sono altro che l'attrazione per il reale.
Cristoforo Colombo insegna.
BERECCI: (Interviene) E già, basta col manierismo! Col manierismo di
Raffaello e di Leonardo! Questo appartiene al passato. I manieristi hanno
saputo imitare soltanto l'arte. E' la natura che bisogna saper imitare invece.
E' il reale che bisogna rappresentare, vedi oggi Michelangelo e Tiziano, anche
se si deve ricorrere a qualche motivo pagano. Scusate l'interferenza, ma credo
sia in linea col discorso.
BONA: (A Berecci) Perdonatemi, Maestro Berecci, ma io non è che sia tanto
d'accordo con le vostre osservazioni sulla visione del manierismo. O meglio non
sarei così categorico nel definire certi pittori, manieristi.
GAMRAT: (A Berecci) E' vero quanto asserisce Sua Maestà. Infatti stando
alle vostre affermazioni, allora anche Bramante sarebbe un artista di maniera.
BONA: (A Gamrat) Scusate se vi interrompo, ma veniamo al motivo per cui
vi ho convocato qui a Niepołomice, Eccellenza.
BERECCI: Allora sarà bene che io tolga
il disturbo. (Rivolto a Bona) Maestà!
Oggi non ho grossi impegni per cui vado a controllare i cavalli e che sia tutto
in ordine per la vostra battuta di caccia nella riserva. (Rivolto a Gamrat) Eccellenza! (Fa
un inchino ed esce)
GAMRAT: Come il Cristo, Maestà, dovreste
ascoltarlo per conoscere e conoscerlo per poterlo amare.
BONA: Ascoltare il Cristo dalla bocca di voi preti?
GAMRAT: Anche! Anche se, per parlarmi
così, evidentemente conserverete la memoria d'un prete come Savonarola che
nella vostra Italia non ci ha fatto onore davvero.
BONA: Invece Gerolamo Savonarola, come
credo anche Celestino V abbia fatto 200 anni prima di lui, ha mosso la sua
protesta da una grande fede e da una grande tristezza nel vedere le condizioni
in cui era caduta la Chiesa. La comune ansia di rinnovamento della Chiesa è
stata quella di due anime inquiete, che cercavano la pace in Cristo, di due
cuori entrambi profondamente innamorati di Dio. Nella sua "Oratio pro
Ecclesia", Savonarola, rivolto a Cristo disse: "Deh, mira con pietate
in che procella si trova la tua Sposa e quanto sangue, oimé tra noi s'aspetta,
se la Tua man pietosa, che di perdonar sempre si diletta, non la riduce a
quella pace, che fu quand'era poverella…"
GAMRAT: E' diabolico che voi abbiate
portato a mente certe affermazioni. Ma cosa avete quest'oggi, Maestà Serenissima?
BONA: Sono stata allieva di Monsignor
Della Casa, io!
GAMRAT: O di Pietro l’Aretino! ... Allora,
ditemi, qual’è il motivo per cui mi avete convocato qui a Niepołomice?
BONA: Non lo ricordo più. So soltanto
che ora ho bisogno di restar sola, ... (Fa
il gesto di congedarsi) Eminenza!
GAMRAT: Capisco! (Saluta) Regina Serenissima! (Ed
esce)
Scena Ottava: CALUNNIE
Varsavia
1555. Bona è nella sua residenza, il Castello di Ujazdów, col suo cortigiano
Camillo Brancaccio.
BONA:
Devo parlarvi dei due segretari Monti e Puccini, ma prima mandate a dire al mio
agente, alla Corte Cesarea di Bruxselles, di aver cura della
"valitudine" del Magnifico Giovanni Lorenzo Pappacoda, da qualche
tempo ammalato laggiù. Che la malinconia non si aggiunga alla sua infermità!
Poveruomo, sbattuto qua e là come mio "Orator"; prima a Bruxelles
presso Carlo V e poi a Londra. A Londra, da Filippo d'Asburgo e sua moglie, la
mia cara amica Margherita Tudor.
CAMILLO: "Bloody Mary", così la chiamano la vostra cara amica,
"Maria la Sanguinaria". Peraltro degna figlia di suo padre Enrico
VIII.
BONA: E allora, con ciò?
CAMILLO: Niente, Maestà! Ho saputo che
il Cielo ha voluto ricompensare la vostra cara amica per le sue crudeltà.
Invece d'un figlio, ella ultimamente ha partorito un tumore maligno.
BONA: Voi, Messer Camillo Brancaccio,
siete il mio cortigiano e il mio buffone, oppure il mio persecutore? Volgare
impudente che non siete altro!
CAMILLO: Perdonatemi Maestà, siete
sempre così tollerante e paziente con me, con tutte le mie dabbenaggini.
BONA: E' vero, troppo tollerante e paziente! Chissà, forse perché poi voi al
momento opportuno, sapete fornirmi tanti "avvisi" in anteprima. Voi
venite sempre a conoscenza dei particolari di tutto e di tutti, prima ancora
che se ne abbia notizia. Ficcanaso, intrigante come siete! Oh, non temete,
ammiro il vostro spirito e mi diverte la vostra sottile ironia. Ricordo ancora
quando mi informaste che Carlo V, prossimo a recarsi a Roma, venti anni fa,
avrebbe trovato una sorpresa di Papa Paolo III ad attenderlo; ossia un arco
trionfale provvisorio, fatto erigere, solo per l'occasione, appunto dal Papa,
ad opera di Antonio da Sangallo. Come facevate voi a saperlo in anticipo se
doveva essere una sorpresa? Eppure voi lo sapevate! Ma quello che mi fece
effetto, allora, fu il vostro arguto commento in proposito. (Ride) Vedete, mi vien ancora da ridere
a rievocarlo! "La Chiesa fa miracoli!"
CAMILLO: Ma io ricordo anche che voi
avete controbattuto: "La Chiesa, fa sortilegi!"
BONA: Mi auguro non direte certe battute
in presenza del Primate; il Primate non ha il vostro spirito! ... Ma torniamo a
noi. Vi do un altro ordine: tenete d'occhio e fate tenere d'occhio anche da
Pompeo Lanza, quel calunniatore di Giovanni Alfonso Castaldo. Costui è un
"vano cervello, un essere impraticabile, tutta malvagità e
maldicenza". Nessuno, di tutti i seimila cittadini di Varsavia, è come
lui. Pensate s'è permesso di parlar male anche di mia figlia Isabella, oggi
Regina D'Ungheria, amata e stimata. E magari sarebbe anche capace di calunniare
il Serenissimo Re, mio figlio.
CAMILLO: Perché non lo azzittite
separando la sua gola con la sua lingua, dai suoi polmoni?
BONA: Lo punirò a dovere, lo caccerò
dalla Corte, non temete! Anche se è un napoletano "verace" come voi. (Ride) A voi napoletani è la lingua che
vi "fotte", non è vero? Anche mia madre per la sua lingua spesso ha
passato dei brutti momenti. Adesso, mio adorato, fedelissimo Camillo, prendete
carta e penna e scrivete. Sedete lì. (Indica
uno scrittoio)
CAMILLO: (Siede, prende carta e penna)
BONA: (Dètta) "Bona, Dei Gratia Regina Vidua Poloniae, Magna Dux
Lithuaniae, Barique Priceps Rossani, Russiae, Prussiae, Masoviae, etc. etc., domina!"
...
CAMILLO: (Scrive sotto dettatura)
Scena
Decima: EPILOGO
Castello
Svevo di Bari, 19 novembre dell'anno 1557. È notte fonda, Bona giace apparentemente
esanime nel suo letto dopo essere stata avvelenata da Pappacoda. Tutti, a
Corte, sanno ormai del suo decesso, dal momento che i medici hanno rilasciato
un ampio ed esauriente referto di morte. Soltanto una sua fedelissima ancella è
lì, accanto a lei, a vigilare il suo corpo e a piangerla. Ma ecco che ad un
certo momento ...
BONA: (Si risveglia improvvisamente. Urla, lasciando esterrefatta la donna
presente) Che siate tutti maledetti! Sono consapevole dei vostri intrighi, Non
crediate! E ricordo ogni cosa! So d’essere circondata solo da nemici, da iene e
da avvoltoi, quali voi siete! Ieri l’altro, credendomi moribonda, vi siete
subito premurati di farmi firmare un testamento falsificato. In apparenza mi
davate ad intendere che stavo firmando un documento che nominava mio figlio
erede universale, invece nella realtà stavo cedendo i possedimenti di Bari e
Rossano a Filippo II. Lo so! Tutti complici, volevate derubarmi d’ogni mio
avere! In particolare tu, mio fido Pappacoda, infido serpe, credevi d'avermi
ucciso col tuo veleno! Invece eccomi qua viva più che mai e certamente non
deceduta per "Terzana Doppia Maligna" come hanno ipocritamente
dichiarato i tuoi medici. Eccomi pronta a maledirti con tutte le mie forze.
Prevedendo quello che tu stavi tramando e che poi sarebbe accaduto, io avevo
assunto una potente dose dello "Stercum Diaboli", una miracolosa pozione
contro il veleno di una nota "Spetiaria" di Roma fattami pervenire
appositamente qui a Bari. Magnifico Gian Lorenzo Pappacoda, finalmente posso
ripagarti! L'inganno della mia morte contro l'inganno di tutta la tua vita con
me! (Estrae un foglio da sotto il cuscino)
Ecco il testamento, già redatto, a favore di mio figlio, quello che ti farà
dannare l'anima per l'eternità. (Rivolta
all’ancella) Dammi qualcosa per firmare. Su, presto!
ANCELLA: (Porge una penna)
BONA: (Firma e affida il foglio alla donna) Consegna segretamente questo
scritto al mio fidatissimo notaio che tu sai. Corri, non c’è tempo da perdere!
ANCELLA (Esce)
BONA:
(Recupera un libro nascosto fra le coperte e legge tra sé e sé)
"Torbido fiume Sinni, del mio mal superbo/or ch'io sento da presso il fine
amaro,/fa tu noto il mio duol al padre caro,/se mai qui 'l torna il suo destin
crudele./Dilli ch'io, morendo, abbandono/l'aspra fortuna e lo mio fato avaro/e,
con esempio miserando e raro/nome infelice a le tue onde serbo./Tosto ch'ei
giunga alla sassosa riva/-a che pensar m'adduci, o fera stella,/come d'ogni mio
ben son spoglia e priva!-/muovi l'onda con crudel procella/ e dì:
"M'accrebber sì mentre fu viva,/non gli occhi no, ma i fiumi
d'Isabella". (Legge anche la firma
della poetessa) Isabella Morra (Chiude
il libro. S'addormenta).
0.143 - 12.1.15