venerdì 11 febbraio 2011

CRISTÓBAL COLÓN: TESTO TEATRALE, RAPPRESENTAZIONI, WORK-IN-PROGRESS



"CRISTOFORO COLOMBO", Monologo Teatrale, scritto in lingua italiana da Alberto Macchi, a Roma nel 1992. Edito a Varsavia nel 2013 sul n. 
4-5 di Gazzetta Italia, in lingua italiana e in lingua polacca.

"Cristoforo Colombo - Visione del Mondo" è sostanzialmente un monologo-epilogo di uno di quei grandi personaggi che non si sono lasciati vivere dalla vita. Egli stesso, infatti, è stato artefice a pieno della sua vita. Entusiasta, comunicatore, trascinatore, è vissuto sempre nell'evasione. Per gli ideali ha eluso continuamente la realtà convenzionale della vita, prendendone coscienza però di fronte alla morte, sua compagna da sempre fedele ed invisibile, fonte di stimoli e di coraggio. Questa morte che quando se l'è trovata concreta davanti, per la prima volta, ecco che l'ha temuta. (Nota dellautore)


Articolo su "Gazzetta Italia", Varsavia 4-5/2013

BREVE PASSO DEL TESTO:
PERSONAGGI:
CRISTOFORO COLOMBO, navigatore
FERDINANDO, Re di Spagna
RODRIGO DE TIANA, marinaio, amico di Colombo

Scena terza: EPILOGO - Una stanza, un letto con sopra un uomo disteso: è Cristoforo Colombo, solo, abbandonato da tutti, stanco e malato. Una luce a pioggia s’accende sul suo capo. Parte una musica. Siamo a Valladolid in Spagna. È il 20 maggio dell'anno 1506.

COLOMBO: (Mentre si alza a fatica) E poi adesso questa diceria che sarei figlio di Giovan Battista Cybo di Genova; figlio d’un papa! (Ride) Io figlio di Innocenzo VIII! (Riprende a ridere) E quante altre ancora ne ho sentite sul mio conto! Come, ad esempio, che per affrontare il mio primo viaggio avrei utilizzato una carta geografica risalente al 1485 di un certo cartografo turco di nome Pivirei o Klivirej …, ora non ricordo, dove sarebbero state già raffigurate e descritte le nuove terre. Mah! Lasciamo stare, è meglio sorridere …. Ecco tutt’al più potrei ammettere che chi mi ha ispirato ad intraprendere il primo viaggio sia stato Marco Polo; dopo che ebbi letto il suo “Milione”; questo sì! (Lunga pausa) Mio fratello Bartolomeo, mio padre Domenico, mia madre Susanna, mia moglie Felipa, la mia compagna Beatrice, mio figlio Fernando, le mie avventure per mare, oggi tutto m'appare vano, così come vana è la vita! (La musica svanisce) Ho sposato Felipa perché l'amavo, ma poi nella realtà ho vissuto accanto a Beatrice. Ho procurato inimmaginabili ricchezze alla Spagna, per morire nella miseria. Ho scoperto una nuova terra, quasi un paradiso, per doverlo abbandonare e per lasciarlo abitare agli altri. (Pausa) Però, a pensarci bene, una cosa duratura, vera e benfatta, c’è stata nella mia vita: l'Amore. Il sentimento dell'Amore! Quindi che sto a lagnarmi! (Lunga pausa) Re Ferdinando con la sua fredda accoglienza al mio ritorno in Spagna, dopo che avevo affrontato anche una lunga malattia durante il mio ultimo viaggio, è stato lui che m’ha portato a riflettere, a pormi certi quesiti, a ricercare dannatamente il senso della vita. Così, come reazione, per prima cosa ho incominciato ad evitare gli altri chiudendomi in un paradossale isolamento. E mi sono fermato a considerare la vanità e la vacuità di tutte le cose. Risultato, che ora sono qui, solo, dimenticato da tutti, in precarie condizioni economiche, fisicamente e moralmente distrutto; qui a Valladolid, dove non mi resta che lasciarmi morire, possibilmente in grazia di Dio. Sì, perché Dio, poveretto, in questa faccenda non centra. La colpa è tutta della Vita. Perché la Vita è così. Lei è come una bella signora, ti entusiasma, ti seduce, ti eccita, ti lascia credere, poi, quando meno te l’aspetti, t’abbandona …, quantomeno t’abbandona a te stesso. Anche mia madre, lei che mi ha messo al mondo, come la Vita, anche lei mi ha abbandonato, forse per seguire sua madre nell'aldilà. La Vita insomma è una bella promessa che prima o poi ti delude. Ma credo che se guardassimo di più, invece di vedere soltanto, chissà, forse non incorreremo in certe delusioni, in certe sorprese. Invero io sono stato una persona entusiasta di vivere, curiosissimo, tenacissimo, eppure ecco che ad un certo momento – anche se con qualche ritardo e forse con un po’ di riguardo rispetto alla massa degli altri esseri umani – la vita alla fine mi si è parata davanti in tutta la sua crudezza per annunciarmi che il tempo mio è trascorso. Ho settantacinque lunghi anni alle spalle, è primavera, stagione in cui tutta la natura si risveglia e io dovrei addormentarmi, per abbandonarmi alla Morte? Quando mi spingevo per mare verso l’ignoto, un giorno, ricordo, ebbi la percezione che la Morte dovesse essere un po’ come la mia meta. Infatti, vicina o lontana che fosse, essa era lì davanti a me ad aspettarmi. Ma anche allora, appena fui in vista della terra, volli illudermi e sperai in altri approdi successivi, in un mondo infinito, con infinite mete. Eppure sapevo che il mondo è una sfera, che il mondo è finito. Una volta ultimata la circumnavigazione si torna al punto di partenza, come la Vita che, con la Morte, in un certo senso ti riconduce alla Nascita. Insomma, avevo sfidato la Vita e la Morte insieme, le mie potenzialità e l’ignoto contemporaneamente! “Però un uomo come me, al servizio della Spagna, al servizio del mondo intero, non può morire, non deve morire, non morirà mai!”, mi andavo ripetendo. Invece eccomi qua, senza forze, senza volontà, vecchio, che sto morendo. Questa stanza, questo letto, queste stoffe di velluto rosso, sento che saranno fatalmente la mia tomba. Qui, costretto fra queste mura, lontano dal mio oceano, dovrò lasciare questo mio mondo, solo, abbandonato da tutti. Ho avuto sempre un rapporto difficile con la realtà, avendo troppa fantasia e spirito d'avventura. E ora vorrei illudermi che non morirò. Ma mi sento come svuotato. Un tempo, quando avevo qualche problema nel rapporto con la mia donna, con le persone in genere o col Cielo, allora mi dicevo: “Se ci sono i problemi, allora non c’è la coppia, allora non c’è l'amicizia, non ci sono io, non c’è Dio”. Erano tutte elucubrazioni mentali, è vero, però esprimevano desiderio di vivere, di lottare per risolvere quei problemi. Oggi invece non temo nulla, non credo più a niente! Vivo nell’equanimità della mente, quella mente che so bene che mente sempre e che mente soprattutto a quella parte di suoi possessori non educati a certa volontà di superare le proprie tendenze negative, che rincorrono l’altra volontà, quella di superare difficoltà concrete al solo scopo di realizzare cose materiali; quella mente che, essendo appunto mentale, fa fatica ad affidarsi al sentimentale, allo spirituale. Però oggi, devo confessare, ho paura dell’ignoto, quello stesso ignoto che una volta invece m’affascinava e che ha stimolato tutta la mia vita. (Considera) Si nasce, si conosce, ci si conosce, si muore. Sì, si muore quando si acquisisce consapevolezza che la vita è di per se una sconfitta, una sorta d’espiazione. E rivedo le onde immense dell'oceano, la luce accecante del sole, il buio ossessivo delle notti, le terre lontane, i gabbiani, l'azzurro, le albe, i tramonti, la disperazione e l’euforia riflesse negli occhi dei miei compagni di viaggio. E riodo le loro grida di paura, le loro urla di felicità, le loro sbornie, i rumori del mare, del vento, delle tempeste, dei remi, del legno, delle vele, i lunghi, infiniti silenzi. E risento il forte odore del mare, la brezza sulle membra, il sapore del sale sulle labbra, il panico improvviso, l’estrema felicità, il caldo soffocante, il freddo insopportabile. Ed eccomi ad elemosinare presso le Corti di Spagna e di Portogallo; ecco l’estrosa regina Isabella, i fratelli Pinzon, l'ago della bussola che, così d’improvviso, impazzisce e che mi disorienta l’anima, la testa e i nervi, ecco la Stella Polare, l'amico Diego, l'ammutinamento, ecco quel venerdì 12 ottobre la terra, l’isola di San Salvador e Cuba, l’amaca dei selvaggi, i selvaggi che fumano, i loro pappagalli, l’oro; la fuga di Pinzon, la Santa Maria incagliata e Diego che resta a governare le terre conquistate. I selvaggi deportati in Spagna come schiavi. Me incatenato, rimandato in Spagna insieme a mio fratello e umiliato davanti ai miei compagni, la conseguente mia perdita del titolo di Viceré delle terre conquistate, la rinuncia forzata ad ogni ricchezza, il mio totale disfacimento. A nulla è valso avere dignità, orgoglio, rispetto e attenzione per gli altri! È valsa soltanto l’acquisizione dell’idea della vacuità e dell’illusione di tutte le cose, sensazione quest’ultima, che ci occorre per esorcizzare la morte, per tutto il tempo che siamo impegnati a trascorrere questa maledetta esistenza. Per esorcizzare appunto la morte, quella stessa morte che fin dalla nascita mi ha sempre condotto per mano e che non mi mai abbandonato e che non abbandona tuttora neppure per un attimo, neppure adesso che, sconfitto, sto lasciando la vita. (Ripiomba sul letto, senza più vita. Le luci si spengono. Parte la stessa musica di prima)
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(1) GIOVAN BATTISTA CYBO (Genova 1432 – Roma 25/7/1492). Fu eletto papa col nome di INNOCENZO VIII il 28/8/1484. Fu un pontefice nepotista e simoniaco. Condannò le tesi di PICO DELLA MIRANDOLA.
(2) MARCO POLO (Venezia 1254 – Venezia 8/1/1324), commerciante e viaggiatore. Nel 1271, a diciassette anni, accompagnò suo padre NICCOLÒ e suo zio MATTEO in Cina, terra che suo padre e suo zio avevano già raggiunto cinque anni prima nel 1266. Quando tornò, il 7 settembre 1298 partecipò alla battaglia di Curzola contro i genovesi e quivi fu fatto prigioniero. In carcere dettò le sue memorie di quel viaggio al letterato RUSTICHELLO DA PISA, il quale le trascrisse in lingua francese, intitolandole “Livre des merveilles du monde”. In Italia quest’opera fu conosciuta col titolo “Il Milione” da Emilione appellativo della famiglia POLO.

DALL'IDEA ALLA STESURA DEL TESTO TEATRALE, AL DEBUTTO, ALLE REPLICHE:

Anno 1991
- In vista delle Commemorazioni e dei Festeggiamenti per l'Anniversario dei 500 anni dalla Scoperta dell'America, previste per il prossimo anno, dopo aver visitato la Casa di Cristoforo Colombo a Genova, Alberto Macchi sente l'impulso di scrivere un Monologo per il Teatro che si riferisca agli ultimi anni della vita del grande navigatore.
Anno 1992
- Terminato il testo teatrale corredato di note e di bibliografia, dopo mesi di impegno presso le biblioteche di Roma e di Genova, questo viene regolarmente depositato alla S.I.A.E. di Roma.
Anno 2013
- Pubblicato il testo teatrale “Cristoforo Colombo”, su Gazzetta Italia di Varsavia n. 4-5/2013, in lingua italiana e in lingua polacca, Questa pubblicazione è consultabile presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e presso la Biblioteka Narodowa di Varsavia, nonché presso l'Archivio di Alberto Macchi a Roma.
Anno 2014
- Lettura drammatizzata con gli attori del laboratorio teatrale presso il piccolo teatro della Galleria Freta di Varsavia.


Testo definitivo


"Cristoforo Colombo", Incisione del XIX secolo.


FILM:






0.035 - 15.1.15

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