“TEODORA RICCI BARTOLI" è un Monologo Teatrale, in lingua italiana scritto da Alberto Macchi a Roma nell'anno 2004. Inedito.
Osservando il ritratto in copertina, ecco come poteva apparire Teodora Ricci Bartoli se la si considera nel costume di scena indossato qualche mese prima della data di realizzazione di questa tela, al Teatro Carignano di Torino nella Tragedia “Gli Sciiti” di Voltaire. Questo ritratto di “Donna mascherata per il Carnevale di Venezia” del 1769 è di Alessandro Falca detto Alessandro Longhi (Venezia 12/6/1733 – Venezia 1813). Nella realtà a Venezia nel 1770, questo pittore fece un ritratto a figura intera e a grandezza naturale, su intonaco, con il titolo “Dora Ricci Bartoli”, opera però andata distrutta.
“TEODORA RICCI BARTOLI”
Diario di una pazza
Scena Unica: Anno 1824. Venezia. Ospedale di San Servilio. In camice bianco, a piedi nudi, scapigliata, col volto emaciato, Teodora Ricci (1) gira intorno ad un tavolo nella stanza, urlando, in preda ad una crisi di nervi.
TEODORA: Perché credete sia così agitata quest’oggi? E’ sempre per colpa del teatro naturalmente! (Prende un libretto da sopra il tavolo) Ecco, per questo, il libretto de “Gli Sciti”, una tragedia di Voltaire, tradotta dal francese da D’Orengo. Questi Sciti (2), adoratori del Dio Papee, governati dal Re Oronte e dalla Regina Zarina o Candespe, con i loro metalli preziosi, hanno costruito gioielli e monili pregiatissimi, appunto il “Tesoro degli Sciti”. E, come afferma lo stesso Voltaire (3), sono diventati “maestri di tutto”. Però con quali metodi? Cavando gli occhi ai loro schiavi perché nel fare il burro non si distraessero, come ben aveva evidenziato nelle sue “Lettere Persiane” Montesquieu (4). Che schifo la “realtà” del teatro! Altro che “finzione” del teatro! “Perché allora hai scelto di fare l’attrice, se poi il teatro ti disturba?”, direte voi! Dovete sapere invece che si diventa attori, attrici, per vincere una paura, un complesso che ti tormenta, la timidezza. Io ad esempio, ora che sono diventata vecchia e che non calco più le scene, posso confessarvelo: da ragazza avevo un difetto di costituzione della bocca che mi procurava strani effetti espressivi del viso e vocali. Capirete, vanitosa com’ero, potevo mai rassegnarmi e ritirarmi di buon grado in disparte come una povera donnetta intimorita, per tutto il resto della vita? Mai! Così ho incominciato a fare, senza sosta, esercizi di respirazione, di impostazione della voce, di dizione, di gestualità, di mimica facciale, finché non l’ho spuntata, correggendo quasi completamente quel difetto, migliorando nel contempo il mio aspetto fisico e anche la mia cultura. Ad esempio quando mi capitò di interpretare il personaggio di Obiade. (Apre il libretto e, fingendo di parlare rivolta verso un’altra stanza, a Sulma, un personaggio della Tragedia, legge) “Amata Sulma, mi chiedi se ho risoluto appieno? Sì, ho risoluto. Ho i giorni miei tutti sepolti in questo deserto. Alcun non creda che io del Padre la morte impaziente attenda. E ch’io torni dell’ingrata Ecbatane a placar quella legge, ond’io son priva delle avite sostanze. Ebbi una volta questo pensier nei primi dì ch’io piansi fra le sventure mie, ma non tardai ad arrossirne; ai miei dessi col tempo seppi por fren: per superarli è vero molto penai, ma ebbi l’intento. Al fine avvezza agli usi, al clima di quest’orride valli io più non trovo me stessa in me. Son dileguati ormai nel mio pensier quei sì frequenti omaggi che, nella Persa Reggia, mi vidi offrir. Già posi in alto oblio le porpore le gemme, onde splendea d’inanzi a me lo stuolo de’ rispettosi amanti, ond’io solea tanto fregiar me stessa. Altro or non sono che un’infelice, in cui l’antica ambizion rimase spenta; mi vinsi, il Padre imito e son contenta. (Pausa) Che più mi resta, cara Sulma, a sperar dopo l’eccesso dei miei disastri? Ah, tu lo sai, degg’io odiar quel Prence ingrato, quel funesto Atamare, onde è fra l’onte la mia famiglia involta. A tutti ignota, priva di patria e di fortuna io veggo con occhio indifferente tutti li uomini alfin. (Tra sé e sé) Tranquillo il core fingo d’aver, ma intanto io Obeide, sospiro e ascondo il pianto”. (Poggia il libretto sul tavolo) Quanti ricordi di questo mio primo debutto importante! Era il 1769, mi trovavo a Torino appunto con questa tragedia de “Gli Sciti”, al Teatro Carignano. Ero emozionatissima, ansiosa, col comportamento tipico delle attrici francesi, da loro appunto ereditato. E forse anche terrorizzata. (Recupera il libretto) Tanto che, sul libretto feci pubblicare questa nota (Legge) “Amabilissime Dame, Generosissimi Cavalieri. Dovendo rappresentare il personaggio di Obeide in questa Tragedia, temo con giusta ragione di mancare all’esattezza del ritratto di sì illustre, e virtuosa Donzella, ove il generoso compatimento delle loro nobilissime Signorie non somministri forza, e coraggio alla mia timida insufficienza: oso pertanto supplicarle di gradire l’omaggio di questa Rappresentazione della quale m’è stato dato l’arbitrio di disporre, e col più profondo ossequio mi protesto. Delle loro nobilissime Signorie. Umilissima Divotissima, ed Obbligatissima Serva Teodora Ricci Bartoli”. (Abbandona il libretto e va a recuperare un quadro con il suo ritratto, appeso alla parete) Guardate quanto ero bella in questo ritratto del Longhi (5)! Qui avevo venti anni, qualche mese dopo le nozze. Nel costume di scena. Fino ad allora ero stata una scapestrata, vana, belloccia e civetta, una povera diavola insomma. Figlia di un ballerino padovano e di un’attrice della Compagnia di Antonio Sacco, sono nata a Verona nel 1750. Ho assunto il nome di Teodora perché sono stata battezzata, figuratevi, da Teodora Medebach, moglie di uno dei capocomici amanti di mia madre. Istruita da mio padre ho esordito come ballerina d’Opera. A diciannove anni sono stata scritturata come attrice drammatica dalla Compagnia di Pietro Rossi che mi affidò per l’educazione teatrale all’attore Francesco Saverio Bartoli. Però finì che io e il Bartoli ci innamorammo, fu quasi un colpo di fulmine. E ci sposammo, il 5 novembre di quello stesso anno. Ma c’è da dire che io in vero accettai di sposarmi così di fretta perché ero stata cacciata fuori di casa da mia madre, una strana donna d’origini nobili. Sulle prime crebbi volgare, fra i costumi e il linguaggio della strada. Ma con l’esempio di una madre attrice per capriccio, amante del suo capocomico, moglie di uno spiantato, mio padre, uno che non si era mai curato ne di me ne di lei, intento soltanto, da mattina a sera, a comporre, dopo il fallimento come ballerino, certe opere filosofiche, dalle quali sperava, senza riuscirvi, di ricavare denaro e fama, cosa potevo sperare per me! Dopo che mi fui sposata con Francesco (6), venni a sapere che questi era malato di tisi. Me lo aveva tenuto nascosto. La cosa mi fece quasi impazzire. Allora incominciai a tradirlo con chiunque, con rabbia, con odio. D'altronde il primo tradimento l’aveva fatto lui col non avermi confessato quel suo brutto male prima del matrimonio. Insomma avevo sposato un uomo che poi presto si rivelò “casson in malora”, sempre con quel suo fazzoletto in mano pronto a premerlo sulla bocca ogni qualvolta aveva sbocchi di sangue o per soffocare la tosse. Tra i miei spasimanti c’era il Conte Carlo Gozzi (7), poeta come suo fratello Gasparo, anche se poi da lui considerata una donnetta ignorante, per le sue lettere ricolme di strafalcioni (8), che all’età di cinquant'anni sonati si invaghì follemente di me e, anche se a quell’epoca francamente non potevo di certo essere così avvenente come una volta, egli mi definì “di bella figura”, una donna che “sapeva portare i propri vestiti bene accomodati, con tant’arte leggiadra, che non lasciavano riflettere se fossero di lana o di seta, nuovi o logori”. Però, devo dire, aggiunse che “le mie belle chiome bionde supplivano a qualche difetto del viso”. All’inizio, ricordo, io rispondevo sì al suo corteggiamento, ma sempre mantenendo le dovute distanze. Quando poi però egli si rese conto di non avere speranze di conquistarmi in alcun modo, pensò di convincermi offrendomi con insistenza dei regali. E arrivò perfino ad imporre al mio capocomico Antonio Sacco, che già di per sé mi vedeva come una bella persona, ricca di grazia e di eleganza, di aumentarmi la paga. Ma io, ambiziosa e venale come ero allora, non seppi resistere più di tanto e così accettai la sua protezione, senza però disdegnare nel contempo il corteggiamento del mio capocomico, quantunque questi avesse ottant’anni d’età e quantunque fosse stato già l’amante di mia madre. E né seppi e né volli resistere alle lusinghe di Pietro Gratarol, (9) Segretario del Senato veneziano, accreditato presso la Corte di Napoli, assiduo frequentatore dei palcoscenici e, a dire del Gozzi, «instancabile uccellatore di Venere». (Ride in modo sguaiato) E conservare la conveniente relazione col Gozzi, divenuto nel frattempo mio compare, mentre concedevo nello stesso momento i miei favori al nobile Gratarol, mi sembrava la cosa più naturale del mondo, anzi mi eccitava. Ma il Conte, sebbene ancora innamorato, ad un certo punto si ravvide e non tollerò più quella sua posizione ridicola; così una sera, accompagnandomi a casa, mi disse che da allora in poi sarei stata libera di far ciò che volevo e che non lo annoverassi più tra i miei amici e protettori. Mi parve veramente determinato. Infatti, quando tentai di dissuaderlo, si mostrò irremovibile e non cedette a lusinghe, a lettere minacciose e neanche agli insulti. Pensate, persino quel filosofo smidollato “impastà de tosse” di mio marito si adoperò perché si ristabilissero gli antichi rapporti tra me ed il Conte! Nell'animo mio allora nacque un terribile desiderio di punizione. E ne volli come strumento Pietro Gratarol. Ricordo, dopo un consueto viaggio che la Compagnia Sacco faceva in alcune città, tornai a Venezia. Qui il capocomico, uno straordinario “Truffaldino” sulle scene e nella vita, incominciò a circuire il Gozzi per avere da lui il copione di una commedia dal titolo “Le droghe d'amore”, di imitazione spagnola, che egli aveva abbozzato già da qualche tempo. Io, l'anno avanti, l’avevo letta ed approvata, ma l'autore non la ritenne tale da potersi mettere in scena, dal momento che, secondo lui, era esageratamente lunga e poco dilettevole. Però il Conte non seppe resistere alle insistenze del Sacco; così avvenne che le parti furono distribuite. Io però, da perfida comare qual’ero, volevo vendicarmi per avermi abbandonato. Così incominciai a diffondere la voce che il Gozzi aveva voluto raffigurare nel suo personaggio di Don Adone il nobile Gratarol. Accadde allora che questi corse dal magistrato ed ottenne che il manoscritto de “Le droghe d'amore” fosse sottoposto ad una più accurata revisione: ma nulla o quasi nulla secondo il magistrato risultò da censurare. Quindi si arrivò tranquillamente alla rappresentazione. La curiosità del pubblico però a questo punto era diventata enorme. Enorme infatti fu lo scandalo che ne scaturì. L'attore che sosteneva la parte di Don Adone infatti apparve sul palcoscenico truccato e vestito in maniera tale e recitò con una voce tale e con una gestualità tale che tutti riconobbero in lui il nobile Gratarol. L’avvenimento fu indubbiamente straordinario ed ebbe una enorme eco con un lungo strascico. E ogni cosa fu poi dettagliatamente riportata sui giornali e perfino raccontata dal Gozzi nelle “Memorie Inutili”. Il Gratarol, stimolato dalla mia perfidia, si ostinava a ritenere tutto questo opera del Conte e così lo ingiuriò pesantemente. I magistrati però fortunatamente riuscirono a porre fine a tutto questo. Avvenne infatti che i due si rappacificarono, anche se, a parer mio, solo in apparenza. Passarono poi parecchi anni finché io, con la mia smania del lusso e con la mia costante fregola di esibirmi a Parigi dove sapevo che i ricchi scagliavano sulla scena borsoni di luigi d’oro alle attrici, a suon di vezzi e di moine riuscii a spennacchiare ben bene parecchi tra farlocchi e merli. Sì, ero coll’immaginazione fissa su Parigi. Venezia ormai, per me, era diventata una cloaca. I veneziani, ma anche gli altri italiani, m’apparivano dozzinali e ignoranti, insopportabili. A Parigi, io che non so cosa sia la gelosia, per ironia della sorte, ho esordito il 29 aprile del 1777 nella Compagnia du Téatre Italien con la commedia “Femme Jalouse”, „Donna gelosa”. Quando, cinque anni dopo, lasciai Parigi, tornai in Italia un po’ più tranquilla perché avevo ottenuto dal Re di Francia una piccola pensione. Così ripresi a recitare abbastanza volentieri a Venezia presso il Teatro di San Crisostomo e mi legai, anima e corpo, a Maddalena Battaglia (10) e al buon Pelan (11). Poi ad un certo momento, visto che il Gozzi appariva disponibile nei miei confonti, allora mi feci coraggio e così gli scrissi chiedendogli qualche commedia che fosse adatta a me. Il Conte, o per superiorità di animo o perché in cuor suo forse mi amava ancora, passò sopra al nostro passato e mi offrì la sua commedia “Cimene Pardo”. Questa rappresentazione, devo dire, ottenne un gran successo; ma la mia vita, fin da quando ebbi lasciato le Compagnie di Rossi (12) e di Sacco (13), mi resi conto, era stata invece tutto un fallimento, malgrado quanto dicesse di me D’Origny (14). Tre figli abbandonati a se stessi, un marito trascurato e messo in ridicolo, una carriera piena di amarezze, la perdita progressiva dell’equilibrio della mente. Adesso, poi, avanti con gli anni, che brutta vecchiaia! Sempre sola, rinchiusa in questa stanza d’ospedale. (Si guarda allo specchio, percorre con le dita le rughe sul viso) Con l’avanzare dell’età ho perso tutta la mia avvenenza, sono stata abbandonata da tutti i miei adoratori, sono rimasta completamente sola. E per la mia dilapidatrice incoscienza sono stata privata di tutti i miei beni di fortuna. E, per giunta, la mia mente, quasi per un castigo divino, è rimasta lucida, tanto da essere perfettamente consapevole delle mie sempre più frequenti perturbazioni nervose che in certi momenti mi fanno perdere il lume della ragione come una pazza al massimo grado. E, questa mia lucidità mi procura rimpianti, paure, rimorsi, sensi di colpa. Sì, sensi di colpa per aver fatto tribolare, in particolar modo negli ultimi dieci anni della sua vita, quel povero mio sposo, un grande uomo invece, devo riconoscere oggi, nominato addirittura Membro d’Onore presso l’Accademia Clementina di Bologna. Un uomo che ha dovuto sopportare ogni sorta di stravaganze da parte mia, umiliazioni, sempre con una veramente cristiana rassegnazione. I figli poi, quando sono tornata da Parigi, trovai, che una era finita in convento, e che un altro era morto. Per quanto riguarda i miei amanti, nessuna nostalgia, ne per il capocomico Antonio Sacco, ne per l’impresario Medebach (15), ne per il poeta Carlo Gozzi, ne per il senatore Gratarol, ne per lo scrittore Compagnoni, ne per l’attore Zanarini (16), ne per tutti gli altri. Petronio Zanarini sì, che lui era un attore: sulla scena aveva un portamento moestoso, una bella voce sonora e nobiltà nel gesto. (Si prende il viso tra le mani, siede, china il capo. Poi si alza in piedi di botto e urlando) Possibile che non c’è nessuno in quest’ospedale maledetto! E se avessi bisogno di qualcosa! E se avessi bisogno di qualcuno! (Va a bussare con violenza contro la porta. Urla ancora) Ho fame. Ho sete. Voglio cacare, voglio pisciare, voglio andarmene di qui. Voglio andarmene da questo mondo! D'altronde non ho più nessuno qui. Ho sepolto tutti, marito, figli, amanti e anche capocomici, impresari, autori, attori, pittori, amici, estimatori. (Parte una musica. Va a sedersi davanti allo specchio, si ravvia i capelli, si trucca come una maschera. Si alza, indossa un mantello. E tra se e se) Devo fare presto. Il pubblico in sala aspetta me, la “Divina”. Non posso farlo attendere oltre, il mio pubblico. (Torna a bussare alla porta, questa volta però con garbo. Poi, con una voce in falsetto) Chi è di scena, venti minuti di ritardo! (Pausa. Bussa) Chi è di scena, venticinque minuti di ritardo! (Pausa. Bussa) Chi è di scena, mezz’ora di ritardo! (Si aggiusta l’acconciatura) Ecco, sono pronta. E’ vero, la “Divina” ha i suoi tempi, i suoi ritardi, i suoi comodi, ma per quest’oggi il pubblico ha aspettato abbastanza. (Va a recuperare il libretto, si dispone al centro della stanza e legge) “Alfine vi sia, barbare tigri, noto il sangue ch’io verso. Il mio Monarca è Atamare. Egli è il primo e l’unico che amai. Solo un istante dal nero dì ch’io lo conobbi, ah mai, mai nol posi in oblio. E m’astringete a trucidarlo? Oh Dio! Il vilipeso Imeneo ch’io detesto, il sangue mi chiede del cor ch’ei profanò”. (Abbandona il libretto, recupera sul tavolo un pugnale e continua, recitando ad alta voce, quasi gridando, mentre si guarda attorno) “Sciti, giuraste di conservar la vita de’ miei concittadini”. (Poi, rivolta verso un attaccapanni con appesi un vestito e un cappello da uomo) “Il sen più reo, barbari, è quello ove io sommergo il brando”. (Alza il pugnale, lo indirizza verso l’attaccapanni e invece di colpire quello, si conficca la lama nel petto. Cade a terra. Poi, aggrappandosi all’abito da uomo appeso) Vivi, ah vivi Atamare: io tel comando. (Abbandona la presa e, boccheggiante, distesa sul pavimento) Me sventurata! Ora muoio davver, non sulla scena! (Muore)
SIPARIO
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NOTE:
(1) TEODORA RICCI BARTOLI (Verona 1750 ca – Venezia 1794). Attrice, ballerina. Figlia di ANTONIO RICCI ballerino padovano e di EMILIA GAMBACCIANI attrice della Compagnia di ANTONIO SACCO e di MEDEBACH, nasce a Verona nel 1750. Istruita dal padre esordisce come ballerina d’Opera. Nel 1769 viene scritturata come attrice drammatica dalla Compagnia di PIETRO ROSSI che ne affida l’educazione teatrale all’attore FRANCESCO SAVERIO BARTOLI. I due si innamorano e subito si sposano il 5 novembre dello stesso anno. Si mette in luce a Genova e ha il suo primo successo al Teatro Carignano di Torino con la Tragedia “Gli Sciiti” di VOLTAIRE tradotta da D’ORENGO. Nel 1771 il famoso TRUFFALDINO ovvero ANTONIO SACCO la scrittura come primattrice nella sua Compagnia, dove ha lavorato anche sua madre e dove il Conte CARLO GOZZI opera come tutore e poeta. Interpreta le commedie l’”Innamorata da vero”, il suo primo fiasco, e “La Principessa filosofa” di GOZZI ed ha ruoli dominanti in “Gustavo Wasa” di PIRON e nel “Conte di Essex” di ARNAUD. Il 22 aprile del 1777 a Parigi esordisce con la Compagnia del Théâtre Italien come protagonista in “Femme jalouse” e in “Le Double mariage d’Arlequin”. Tornata in Italia, dal 1786 al 1787 lavora con la Compagnia di MADDALENA BATTAGLIA. Continuando ad ignorare figli e marito, lavora al Teatro San Giovanni Crisostomo di Venezia interpretando la commedia di GOZZI “Cimene Pardo” e “La Figlia dell’aria” sempre di GOZZI per la Compagnia di L. PERELLI. Muore pazza a Venezia presso l’Ospedale di San Servilio. (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975). TEODORA RICCI BARTOLI (Verona 1750 – Venezia 1796). Attrice. Due anni dopo aver sposato l’attore FRANCESCO BARTOLI conosciuto in seno alla Compagnia PIETRO ROSSI, passò insieme a suo marito nella prestigiosa Compagnia di ANTONIO SACCO. Ebbe tre figli, tra cui ISABELLA che portò con se a Parigi. CARLO GOZZI era suo compare, lei sua comare. (Alessandro Marasca, Comici dell’Arte, E. Loescher & C.°, Roma 1911). TEODORA RICCI BARTOLI (Verona 1750 – Venezia 1824) Attrice. A Parigi fu scritturata nella Compagnia dei Comici. Andò in scena il 29 aprile del 1777. Nell’aprile del 1780 il Re di Francia ordinò lo scioglimento di tale compagnia, ma assicurò a lei e tutti gli attori licenziati una pensione. TEODORA tornò in patria nei primi mesi del 1782, dove venne subito ingaggiata dalla Compagnia di MADDALENA BATTAGLIA. Qui sostenne il ruolo di primadonna. Quindi passò alla Compagnia di GIUSEPPE PELLANDI, dove ebbe al suo fianco sua nipote CATERINA CESARI quale primadonna giovane. L’attrice ANNA FIORILLI PELLANDI incominciò ad imitare l’ansia di TEODORA, comportamento, che a sua volta, ella aveva ereditato dalle attrici francesi. Alla fine del carnevale del 1796 si ritirò dalle scene e ritornò in seno alla sua famiglia che aveva praticamente abbandonato. Qui trovò che sua figlia ISABELLA, per desiderio di suo padre, uomo religiosissimo, s’era rinchiusa, a Rovigo, presso il Monastero Agostiniano della Trinità. Nel 1795, inoltre, era morto l’unico figlio maschio, valente collaboratore nel commerci di libri di suo marito. Rimasta vedova, TEODORA morì verso il 1824, dopo una lunga e penosa malattia mentale, nell’Ospedale di San Servilio presso Venezia. (Oreste Trebbi, Teodora Ricci, [in:] “Rivista Italiana del Teatro”, Roma 1942, vol. I, pp. 287–295) (Emile Campardon, Les Comédiens du Roidela troupe italienne, Paris 1880) (Giuseppe Compagnoni, Memorie Autobiografiche, Milano 1927) (Giuseppe Compagnoni, Dall’arte della parola considerata dai vari modi della sua espressione sia che si legga sia che qualunque maniera si reciti, Lettere a E. R. giovinetto di 14 anni, Milano 1827). TEODORA RICCI BARTOLI (Verona 1750 – Venezia 1796). Figlia d’arte, tenuta a battesimo da TEODORA MEDEBACH. Figlia di EMILIA GAMBACIANI, attrice, per la quale il CHIARI scrisse vari lavori, iniziò la sua carriera artistica come ballerina. Sposò FRANCESCO BARTOLI ed ebbe cinque figlie, di cui quattro divennero attrici e una cantante. Scritturata dal SACCHI (o SACCO) trionfò nella “Principessa Filosofa”. Rimase sei anni col SACCHI e raccolse, nonostante un difetto di costituzione della bocca che le procurava strani effetti espressivi del viso e vocali, un grande plauso accanto all’attore PETRONIO ZANARINI (o ZEMERINI). Il connubio con questo partner provocò qualche problema a suo marito, nonché ai suoi innamorati CARLO GOZZI, ANTONIO SACCHI, PIETRO ANTONIO GRATAROL e GIUSEPPE COMPAGNONI e provocò anche qualche scandalo. A Parigi ebbe successo. Tornata in Italia fu scritturata da MADDALENA BATTAGLIA e dal GIUSEPPE PELAND. Trionfò con “Fedima” di TANA e con “Madre di Famiglia”. Nel 1796 si ritirò dalle scene. Sua nipote CATERINA CESARI, dopo la sua morte assunse il suo nome RICCI una volta che TEODORA fu scomparsa. (Alberto Manzi, pubblicista Roma, Teodora Ricci, [in:] “Storia del Teatro”) (Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 1949) (Oreste Trebbi, Teodora Ricci, [in:] “Rivista Italiana del Teatro”, Roma 1942, vol. I, pp. 287–295). TEODORA RICCI (1750 – 1824) - Mentre queste fiabe si rappresentavano con successo maggiore o minore, il GOZZI porgeva agli attori della compagnia SACCHI e a quanti lo circondavano spettacolo non meno dilettevole di sè co' suoi tardi amori per l'attrice TEODORA RICCI. Era costei una povera diavola, cacciata fuor di casa, appena adolescente, dalla madre, abituata ai costumi e al linguaggio della strada, moglie di uno spiantato bolognese, attore a tempo perso e che non si curava affatto di lei, intento, dalla mattina alla sera, a certe sue opere filosofiche, dalle quali sperava, quando che fosse, denaro e gloria. Il GOZZI, a cinquant'anni sonati, nel 1770, si innamorò della TEODORA, non bella e non giovane e, non isperando di conquiderla in altro modo, pensò di vincerla spendendo per lei e imponendo al capocomico di aumentarle la paga. Ambiziosa e venale, la RICCI, nel mentre accettava la protezione del conte CARLO, non isdegnava quella dell'ottantenne capocomico Sacchi, nè seppe o volle resistere alle lusinghe di PIETRO GRATAROL, alto personaggio della Repubblica veneta, accreditato presso la Corte di Napoli, assiduo frequentatore dei palcoscenici e, al dire del GOZZI, «instancabile uccellatore di Venere». Alla RICCI pareva la cosa più naturale del mondo conservare la profittevole relazione del GOZZI, concedendo i suoi favori anche al nobile GRATAROL, ma il Conte, sebbene innamorato, si accorse di farci una meschina figura e una sera, riaccompagnatala a casa, le disse che era libera di far ciò che voleva, ma che non lo calcolasse più nel numero dei suoi amici e protettori. Poichè in questa risoluzione il GOZZI si mostrò irremovibile, nè cedette a lusinghe, a lettere minacciose, ad insulti diretti ed indiretti (persino il filosofo marito della Ricci si interpose perchè si ristabilissero gli amichevoli rapporti tra sua moglie ed il Conte!), nell'animo della Ricci nacque il desiderio della vendetta e ne volle strumento lo stesso PIETRO GRATAROL. Dopo il consueto viaggio che la compagnia SACCHI faceva in alcune città, tornò a Venezia e il capocomico si pose attorno al GOZZI per avere da lui il copione di una commedia, Le droghe d'amore, di imitazione spagnuola, già da qualche tempo abbozzata, che la Ricci aveva l'anno avanti letta ed approvata, ma che all'autore non pareva tale da porsi in iscena perchè soverchiamente lunga e poco dilettevole. Alle insistenze del SACCHI il Conte non seppe resistere, furon distribuite le parti ed ecco la RICCI diffonder la voce che, per vendicarsi del suo abbandono, il GOZZI aveva raffigurato nel personaggio di Don Adone il nobile GRATAROL; e questi corse dal magistrato ed ottenne che il manoscritto delle Droghe d'amore fosse sottoposto ad una più accurata revisione: ma nulla o quasi nulla parve incriminabile al censore, e si venne alla recita. L'aspettativa, per tutte le chiacchiere corse sulla nuova commedia fu enorme, ed enorme lo scandalo allorchè l'attore che sosteneva la parte di Don Adone, subornato dalla RICCI e dal SACCHI, apparve sul palcoscenico truccato e vestito in tale maniera e recitò con tal voce e tali gesti che tutti riconobbero in lui il nobile GRATAROL. Fu uno straordinario avvenimento, che ebbe un lungo seguito, prolissamente raccontato dal GOZZI nelle Memorie inutili: il GRATAROL, stimolato dalla perfida RICCI, si ostinava a ritenere il tutto opera del Poeta e lo ingiuriò: c'entrarono di mezzo i magistrati e la cosa ebbe termine con una rappacificazione, più apparente che sostanziale. Parecchi anni più avanti, dopo la morte di LUISA BERGALLI la moglie di GASPARO GOZZI avvenuta nel 1779, tornata la RICCI da Parigi a Venezia e messasi a recitare al teatro di San Giovanni Crisostomo, ebbe il coraggio di scrivere al GOZZI per averne qualche commedia in cui potesse fare buona figura; e il Conte, o per superiorità di animo o perchè non fosse del tutto spento nel suo cuore l'incendio che la RICCI vi aveva acceso, le donò la commedia Cimene Pardo, che fu con molto plauso accolta dal pubblico. La RICCI morì pazza nel 1824, nell'ospedale di San Servilio. (Rosolino Guastalla, Carlo Gozzi, 2001). TEODORA RICCI BARTOLI (Teodora Ricci Bartoli, Una lettera di una comica ignorante, Panfilo Castaldi (*), Feltre 1900, a cura di Cesare Musatti (**)
(*) PANFILO CASTALDI, Casa editrice di Feltre del XIX secolo che certamente deriva dalla Stamperia di PANFILO CASTALDI (Feltre 22/9/1398 – Venezia 1479), medico e letterato, "maestro da libri dal stampo". Secondo Antonio Cambruzzi, conventuale francescano autore della "Storia di Feltre" del 1681, e Antonio Dal Corno nelle sue "Memorie storiche della città di Feltre", PANPHILO CASTALDI sarebbe stato il primo inventore dei caratteri mobili per la stampa e avrebbe insegnato tale procedimento a Fausto Conesburgo, suo ospite a Feltre, che portò il procedimento nella sua città a Magonza. Gabriele Gabrielli, vescovo di Giustinopoli e Antonio Maria Gargnati, padre guardiano del convento dei Frati minori di Capodistria affermano la priorità di PANFILO CASTALDI. Analogo parere espressero monsignor Jacopo Bernardi, scrittore trevigiano nel suo scritto sulla "Invenzione de' caratteri mobili per la stampa" (Milano, 1865), Emilio Motta e Pietro Ghinzoni ("Rivista storica italiana", 1880) previe ricerche effettuate nell'Archivio Sforzesco di Milano. Nessuno studioso prese mai in esame la notizia (da rogito) che PANFILO CASTALDI sposò una nipote di MARCO POLO, che tra i beni dotali aveva caratteri mobili portati a Venezia dal Cataio in Cina. Non furono mai effettuate verifiche a Capodistria, dove era medico, e dove sembra che abbia esercitato l'arte della stampa (1461) prima di trasferirsi a Venezia (1469), indi a Milano (1471) e poi ancora a Venezia (1472).
(**) CESARE MUSATTI, medico, storico, scrittore veneto del XIX secolo, da non confondere col ben più noto CESARE MUSATTI (Dolo/Venezia 1897 - Milano 1989) Condotti gli studi di matematica e filosofia all'Università di Padova, si orientò verso la psicologia, diventando assistente di V. Benussi. Si applicò quindi alle ricerche già avviate dalla Gestaltpsychologie e iniziò a interessarsi alla psicoanalisi freudiana. Nei corsi universitari degli anni 1933-35 iniziò a introdurre la psicoanalisi ma, per le "leggi razziali", nel 1938 venne allontanato dall'insegnamento. Durante la guerra diresse il laboratorio di psicologia industriale presso la ditta Olivetti di Ivrea. Nel 1948 tornò all'Università come titolare della cattedra di psicologia a Milano. Nel 1955 restituì nuova vita alla "Rivista di psicoanalisi", sospesa dalle autorità fasciste nel 1934.
TEODORA RICCI: Personaggio nel Film dal Titolo: „Capriccio Italiano”. Anno 1961. Titolo originale: „Italienisches Capriccio”. Origine: Germania. Produzione: DEFA (Berlino). Regia: Glauco Pellegrini. Attori: Gerd Biewer in MADEBACH, Christel Bodenstein in NICOLETTA GOLDONI, Mauro Carbonoli in Brighella, Norbert Christian in Abate CHIARI, Maria Grazia Francia in Colombina, Claude Laydu in CARLO GOLDONI, Rolf Ludwig in CARLO GOZZI, Nico Pepe in ANTONIO SACCHI/Pantalone, Dana Smutna in TEODORA RICCI, Ferruccio Soleri in Arlecchino, Jan Werich in Don MARZIO, Soggetto: Liana Ferri, Glauco pellegrini, Ugo Pirro. Sceneggiatura: Liana Ferri, Glauco Pellegrini, Ugo Pirro. Fotografia: Helmut Bergmann. Musiche: Gunter Kochan. Montaggio: Christa Wernicke. Scenografia: Arthur Gunter, Ernest Pech. Note: Film realizzato a Berlino Est e tuttora inedito nelle sale italiane. Musica diretta da: Karl Ernst Sasse (Banca Dati del Cinema Mondiale). TEODORA RICCI (Raffaele Calzini, La Commediante Veneziana, in Lettura 1935) (Raffaele Calzini, La Commediante Veneziana, Mondadori, Milano 1936). “La Commediante Veneziana” è anche la sonata I in DO Maggiore per solo cembalo di Ferdinando De Luca, Roma 2000. TEODORA RICCI è “La Commediante Veneziana”, uno sceneggiato televisivo del 1978, tratto dal romanzo omonimo del 1935 di Raffaele Calzini, con Alessandro Haber, diretto da Salvatore Nocita, con le musiche di Fiorenzo Carpi. (Archivio RAI). TEODORA RICCI, personaggio in “Memorie Inutili” di CARLO GOZZI, uno spettacolo teatrale andato in scena nel 1985 con la regia di Franco Fortuzzi, con le musiche di Dante Bosetto e ancora personaggio in “CARLO GOZZI”, commedia in tre atti di R. Simoni, pubblicata a Milano nel 1920. (Banca Dati del Teatro Italiano). SEBASTIANO RICCI (1659 – 1734) pittore. MARCO RICCI (Belluno 6/1676 – Venezia 21/1/1729), pittore. Scenografo, contrario alla macchinossa scenografia prospettica dei BIBBIENA ormai da tempo diffusa in tutta Europa, era invece simpatizzante con un tipo di „scena-quadro” espressa in una prospettiva aerea come „luce-colore”. Nipote e scolaro del pittore SEBASTIANO RICCI. Lavorò in Italia e in Inghilterra. FRANCESCO MARIA RICCI scrittore (Francesco Maria Ricci, Di San Prospero Aquitano Notaio di San Leone Magno il Poema degli Ingrati ovvero Semipelagiani, Agostino Carattoli, Verona 1764) FILIPPO RICCI (1715-
1793), pittore, che ha dipinto una “Madonna in trono con Santi” presso il Santuario del Miracolo Eucaristico di Offida.
(2) Gli Sciti o Sciiti, gruppo di tribù nomadi di stirpe iranica che, tra il II e il I millennio a. C., provenienti dall’Asia centrale, che si stanziarono nella Russia meridionale l’attuale regione della Scizia. Abili nel lavorare i metalli, in particolare l’oro, furono i massimi esponenti della cosiddetta “Arte della Steppa”. Il “Tesoro degli Sciti” oggi è conservato al Museo dell’Ermitage a Pietroburgo (Il Mistero dei Sarmati e degli Sciti, Catalogo Electa, Mostra all’Ermitage, marzo 2001).
Gli Sciti sono stati bene descritti da VOLTAIRE nella sua tragedia “Les Scytes” (da lui fatta rappresentare, tra il 1767 e il 1768, a Parigi e a Ginevra), ma anche da MONTESQUIEU in „Lettere Persiane”.
(3) VOLTAIRE pseudonimo di FRANÇOIS MARIE AROUET (Paris 21/11/1694 – Paris 30/5/1778). Scrittore, autore, tra l’altro delle Tragedie “Oedipe” del 1718, “Marianne” del 1725, “Brutus” del 1730, “Mahomet” del 1742, “Irene” del 1778, “Tancredi” del 1760 e “Les Scytes” del 1767. Altri suoi pseudonimi: "monsieur de Voltaire" , „patriarca di Ferney”, „Akakia”, „Amabed”, „Aumonier de sa majesté le roi de Pologne”, „Guardiano dei Cappuccini di Ragusa”, ecc. Ne „Les Scytes”, come nelle altre tragedie, c’è il tentativo di VOLTAIRE di rendere più elastico e adeguato all'espressione dei sentimenti il modello del teatro classicista. Esse però hanno anche valore come strumenti di divulgazione delle sue idee filosofiche e politiche. Ecco le rappresentazioni della Tragedia „Gli Sciti” di e da VOLTAIRE nel coso del tempo: „Les Scytes” di e a cura di VOLTAIRE, nel Castello di Ferney 1767. “Gli Sciti” di D’ORENGO, da “Les Scytes” di VOLTAIRE, Teatro Carignano, Torino 1769. Il personaggio di Obeide qui è interpretato da TEODORA RICCI BARTOLI. (Gli Sciti Tragedia, Onorato Derossi (*), Torino 1770,Fr. Joannes Dominicus Piselli (**) – V. Tacconis pro D. Sicco – Permette la stampa Galli per Conte Caissotti (***) Stamperia Fontana (****) (Épitres Stances et Odes, Pierre et Firmin Didot, Paris 1800)
(*) ONORATO DE ROSSI, Libraio della Società dei Signori Cavalieri, editore e tipografo, ottenne, nel 1780, l'incarico di pubblicare un almanacco che contenesse le chiese e i luoghi di interesse artistico culturale di Torino. La guida, che il tipografo stampò nella sua officina in contrada di Po, conteneva anche nome, titolo, carica e abitazione delle persone che si distinguevano per nascita e impiego e di quelle che esercitassero professioni di pubblica utilità, come architetti, artigiani, avvocati, banchieri, chirurghi, impiegati pubblici. Privilegio di VITTORIO AMEDEO SAVOIA del 1793 a ONORATO DEROSSI per l'almanacco reale. Privilegio di VITTORIO AMEDEO SAVOIA del 1720 a GIOANNI DEROSSI per un dizionario. (Ricetta dell'elisir di lunga vita in Il sollievo dei malinconici, Torino, Onorato Derossi, 1793) (Giornale per le dame coll'abitazione loro, Torino, Onorato Derossi, 1788, presso la Collezione Simeom, F 363) (Almanacco reale o sia guida per la città di Torino, Torino, Onorato Derossi, 1780, presso la Collezione Simeom, F 262) (Della Chiesa Ludovico, Relazione dello stato presente del Piemonte esattamente ristampata secondo l'edizione del 1635 Torino Onorato Derossi 1777) (Dell'antico stato d' Italia. Ragionamento di Jacopo Durandi, in Torino, appresso Onorato Derossi, 1772) (Eugenio Scribe,Teatro, Milano, 1854. [Unito] Zampa, la Sposa di Marmo. Melodramma tragicomico in tre atti, tradotto dal francese. Torino ,Onorato Derossi, 1834) (Vendemmia, Dramma giocoso, Onorato Derossi, Torino 1778) (Marchesato di Ceva, Torino nel 1777, per Onorato Derossi 2 vol. in 4°) (Giuseppe Nicolini, 1762-1842, compositore di Angelica e Medoro. Libretto. Italian. Angelica e Medoro, ossia, L'orlando : dramma per musica: [...] -- Torino : Presso Onorato Derossi, librajo del teatro imperiale, [1811?])
(**) GIOVANNI DOMENICO PISELLI, Frate Domenicano, Vicario Generale del Sant’Uffizio a Torino.
(***) CARLO LUIGI CAISSOTTI, 1° Conte DI SANTA MARIA DI RODORETO (infeudato con le cascine feudali di Magliani, Biglione e Stroppiana l’8-I-1734, investito il 19-I-1734), 1° Marchese DI VERDUNO (acquistò il feudo dai Rachis il 14-II-1737, ebbe il Regio Assenso alla transazione il 14-IX-1737, e ne fu investito il 18-VII-1739), Conte ad personam DI SANTA VITTORIA D’ALBA (infeudato nel 1743 dal Vescovo di Asti, investito col titolo Comitale ad personam), Sostituto Procuratore Generale del Re a Nizza dal 7-I-1720, Procuratore Generale del Re a Nizza dall’11-XI-1723, Primo Presidente del Senato di Piemonte dal 10-VIII-1730, Superiore Maggiore della Congregazione di Superga dal 28-VIII-1730, Reggente del Magistrato della Riforma dal 12-II-1742, Ministro di Stato dal 19-III-1750, Gran Cancelliere del Regno di Sardegna dal 26-IX-1768 (*Nizza 22-XI-1694, +Torino 7-IV-1769). La famiglia CAISSOTTI DI PUGET THENIERS risiedeva a Nizza come quella omonima originaria di Bergamo ma al di là dell’uso della medesima Arma che facevano non c’era alcuna comunanza di stirpe. L’arma fu concessa ad AANTONIO FRANCESCO CAISSOTTI il 27-I-1741, in occasione della Nobilitazione degli esponenti di questa famiglia. Sulle Langhe, e sull'oltretanaro il castello attuale, di scuola juvaresca, fu costruito verso la metà del Settecento per il conte CAISSOTTI DI SANTA VITTORIA, creato marchese DI VERDUNO. L'ultimo di questo casato lo lasciò in eredità al Senato di Torino affinché provvedesse alla costruzione di un ospedale di carità. Nell’antico castello, tuttora circondato da poderosi bastioni, la torre di Santa Vittoria con i suoi 46 metri si presenta da sola per un ampio spazio fortificato che sovrasta la rocca a strapiombo sulla valle del Tanaro già lottano alla fine del XII secolo Alba e Asti, ma sono i VISCONTI a farne una rocca munitissima, restando al vescovo d’Asti la superiorità feudale. La signoria di Santa Vittoria è assegnata nel 1381 ad ANTONIO PORRO, che però viene fatto giustiziare nel 1404 da GIAN GALEAZZO VISCONTI e stessa sorte tocca (ma solo in effigie, perché si salva con la fuga) nel 1431 al figlio per decisione di FILIPPO MARIA VISCONTI. Nel 1433 inizia la signoria dei ROMAGNANO, fedeli ai SAVOIA, che ne entrano in possesso nel 1611 con CARLO EMANUELE I. Estinti i ROMAGNANO nel 1630, la signoria passa ai CAISSOTTI DI VERDUNO fino all’estinzione del casato, quando le proprietà pervengono all’Ospedale S. Giovanni di Torino, quindi, col re CARLO ALBERTO, al Patrimonio Privato di S.M. Chi percorre la statale che unisce Alba con Bra non può fare a meno di notare, alzando lo sguardo, il colle sul quale si erge la torre di Santa Vittoria. A Cuneo, il restauro del Santuario della Madonna degli Angeli la cui struttura attuale risale al XVIII secolo, fu finanziato dai conti CAISSOTTI, che rivendicarono il loro patronato e la proprietà delle tombe di famiglia al suo interno. Sparì in questi anni la preziosa urna in argento massiccio che incorporava la teca in vetro contenente il corpo del Beato Angelo, dono di Carlo Emanuele III al santuario, a scioglimento del voto espresso dal Re durante l’assedio dei franco-spagnoli (1744). Fu il conte CARLO CAISSOTTI a salvare la salma del beato Angelo da profanazioni, portandola nella chiesa cuneese di S. Maria del Bosco. Nel 1818 il convento tornò in possesso dei francescani che lo riacquistarono dal demanio e dai privati, a cui era stato in parte venduto. Nel 1822, anche il corpo del beato Angelo fu riportato dalla città, con corteo solenne, alla cappella, che peraltro, insieme a tutto il complesso, fu coinvolta dalla legge di soppressione degli enti religiosi del 1866. Chiesa e convento passarono così in proprietà del Regio Demanio; nel 1872 l’amministrazione del fondo per il culto li cedette al Comune di Cuneo, a cui, tuttora, appartengono.
(****) FELICE ed IGNAZIO FONTANA e GIOVANNI BATTISTA e GIACINTO MEDICO hanno ricevuto il Privilegio di VITTORIO AMEDEO DI SAVOIA del 1781 a per l'almanacco intitolato "il corso delle stelle osservate dal pronostico moderno Palmaverde". Privilegio di VITTORIO AMEDEO SAVOIA del 1724 a DOMENICO AMEDEO FONTANA per il Palmaverde Almanacco Piemontese (Il corso delle stelle osservato dal pronostico moderno Palmaverde : almanacco piemontese Torino : Tip. Fontana, 1722/1823 – nel 1804 assume il titolo: Palmaverde della Stamperia Fontana)
„Gli Sciti”, libretto di ANDREA LEONE TROTTOLA, Teatro San Carlo, da „Les Scytes” di VOLTAIRE, Napoli 18/3/1823 – Personaggi ed Interpreti: Ermodano, MICHELE BENEDETTI; Indatir, ADELAIDE COMELLI RUBINI; Atamare, ANDREA NOZZARI; Obeide, ELISABETTA FERRON; Sulma, MARIA GORINI; Ircano, GAETANO CHIZZOLA. „Gli Sciti” di GIUSEPPE SAVERIO MERCADANTE (Altamura 17/971795 – Napoli 17/12/1870), da „Les Scytes” di VOLTAIRE , Teatro La Fenice, Venezia 1823 - „Gi Sciti” di GIOVANNI SIMON MAYR (Ingolstadt 14/6/1763 – Bergamo 2/12/1845), da „Les Scytes” di VOLTAIRE, Teatro Francese di Voltaire, Parigi 1800 - „Gli Sciti”, dramma per musica di GAETANO ROSSI, da „Les Scytes” di VOLTAIRE, Teatro La Fenice, Stamperia Valvasense, Venezia 1800
„Candespe Regina degli Sciti” di GIOVANNI BATTISTA CASALI (1715- Roma 6/7/1792)
(4) MONTESQUIEU ovvero CARLES DE SECONDAT DE LA BREDE DE MONTESQUIEU (La Brède 18/1/1689 – Paris 10/2/1755). Scrittore, autore, tra l’altro, di “Lettere Persiane” del 1721.
(5) ALESSANDRO FALCA detto ALESSANDRO LONGHI (Venezia 12/6/1733 – Venezia 1813), pittore. Ritrasse nel 1769 a Venezia TEODORA RICCI nel costume di scena che aveva indossato qualche mese prima al Teatro Carignano di Torino nella Tragedia „Gli Sciiti” di VOLTAIRE. (Enciclopedia dello Spettacolo, alle voci Teodora Ricci e Francesco Saverio Bartoli). PIETRO FALCA detto PIETRO LONGHI (Venezia 1702 – 1785), pittore. Il 15 novembre del 1701 PIETRO ANTONIO, primogenito di ALESSANDRO e ANTONIA FALCA, nasce a Venezia, nella parrocchia di Santa Margherita. Il padre è citato nell'atto di battesimo come "orese"; tuttavia - giusta la testimonianza degli scrittori contemporanei - era in realtà un “gettatore d'argento”. Il cognome LONGHI non appare in quest'atto e negli altri relativi alla famiglia di ALESSANDRO FALCA; fu infatti adottato dal pittore solo quando intraprese la propria attività artistica. Opere di ALESSANDRO LONGHI: „Portrait of a Gentleman”, del 1750 (Pomona College Museum of Art, California); „Portrait of a Lady”, del 1770 ca., oil on canvas, cm 100x80, (Purchased for the Uffizi in 1911 from the Uffizi in 1911 from the Artelli collection in Trieste); „Caterina Penza” del 1760, oil on canvas, 60,4x48,3 cm. (National Gallery, London); „Portrait of a Magistrate”, del 1780-1800, oil on canvas (Galleria degli Uffizi, Florence); „Ritratto” del 1770, a mezzo busto, quadro, olio su tela cm 100x80, realizzato a Venezia. (Opera catalogata con il titolo “Ritratto di Gentildonna” di Alessandro Falca detto Alessandro Longhi e conservata nella sala chiusa n° 45 del Museo degli Uffizi a Firenze) “Ritratto di Teodora Ricci Bartoli”, del 1770, a figura intera”, a grandezza naturale, realizzato su intonaco a Venezia, opera andata smarrita. (Raffaele Calzini, La Commediante Veneziana, Mondadori, Milano 1936, pp. 173-176) (Alberto Casella, in Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975, vol. VIII, pag. 937); „Ritratto di Gentiluomo”, di ALESSANDRO LONGHI, disegno, matita bianca, su carta grigia, 31x24 cm. (Biblioteca Ambrosiana) ALESSANDRO LONGHI, allievo di G. NOGARI, fu tra i maggiori ritrattisti del XVIII secolo a Venezia. All’acume della notazione pittorica ereditato dal padre PIETRO aggiunse una larghezza d’impostazione di origine tiepolesca e una vivissima sensibilità dei valori luminosi e coloristici. Scrisse ed incise „Compendio delle vite dei pittori veneziani” nel 1762. Tra le sue opere „Ritratto di C. Goldoni”, „Ritratto di Padre Lodoli”, „Ritratto del Vescovo Morosini”, (Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 1995) „Ritratto di Antonio Renier” del 1763 (Museo Civico, Padova). Da „Due Nuovi Alessandro Longhi al Museo Correr” in Bollettino Musei Civici Veneziani, Venezia 1959, n. 2, pp. 7-16: „Ritratto di Padre Superanzio Teologo Domenicano” del 1779-1789, olio su tela, cm. 0,78x0,62, restaurato dal Lazzarin nel 1958 (Ca’ Rezzonico, Venezia), „Ritratto di Giovanni Maria Sasso” del 1779-1789, olio su tela, cm. 0,91x0,65, donato da D’Alessio nel 1865 (Ca’ Rezzonico, Venezia), „Ritratto di Domenico Pizzamano”, olio su tela, cm. 0,91x0,75, donato da Pantoli nel 1897 (Museo Correr, Venezia), „Ritratto del Capitano Budinich” del 1781 (Collezione Privata), „Ritratto di Caterina Correr”, olio su tela, cm. 0,67x0,52 (Museo Correr, Venezia), „ Ritratto di Carlo Goldoni” (Ca’ Rezzonico, Venezia), „Ritratto di Carlo Goldoni” (Biblioteca Teatrale Veneziana, San Tomà, Venezia), „Ritratto di Carlo Goldoni” del 1760 ca., ovale, olio su tela, cm. 0,73x056, donato dal Valmorona nel 1810 (Museo Correr, Venezia), „Ritratto di Carlo Goldoni” del 1760 ca., olio su tela, mt. 1,25x1,05, lasciato dal Cicogna nel 1860 (Museo Correr, Venezia), „Ritratto Ferracina”, olio su tela, mt. 1,20x 0,87 (Ca’ Rezzonico, Venezia), „Ritratto di Angelo IV” del 1760, olio su tela, mt. 1,91x1,40 (Museo Correr, Venezia), „Ritratto di Angelo Memmo I” del 1770, olio su tela, mt. 1,81x1,43 (Museo Correr, Venezia), ”Ritratto di Senatore”, mt. 1,30x0,97 (Museo Correr, Venezia)
(6) FRANCESCO SAVERIO BARTOLI (Bologna 2/12/1745 – Rovigo 1806). Attore, autore drammatico, storico del Teatro. Figlio di SEVERINO BARTOLI, un macellaio che si dilettava di lettere e di MADDALENA BOARI, nasce a Bologna iò 2 dicembre del 1745. Da ragazzo fa prima l’intagliatore in legno presso la bottega di uno zio materno, poi lavora come garzone in una libreria dove ha la possibilità di leggere e di istruirsi. Comincia ascrivere per il teatro finchè non diventa prima socio, poi direttore d’una Compagnia di Filodrammatica. Parte poi da Bologna con il comico FRANCESCO PELI ed esordisce a Monselice con una compagnia di guitti. Poi lavora con la Compagnia di GEROLAMO SARTI detto STRINGHETTA a Sassuolo, finchè non viene scritturato a Modena dalla prestigiosa Compagnia di PIETRO ROSSI dove viene ingaggiata anche l’attrice TEODORA RICCI. I due si innamorano e si sposano l’anno stesso il 5 novembre del 1769. Dal loro matrimonio nascono un figlia ed un figlio. Egli è malato di petto e lei gli propina soltanto amarezze e dolori. nel 1771 entrambi vengono scritturati dalla Compagnia di ANTONIO SACCO. Tradito da TEODORA, schernito da SACCO, maltrattato da CARLO GOZZI, deriso da GRATAROL, tra le angherie dei compagni e gli sbocchi di sangue, sfoga la sua amarezza componendo a perdifiato commedie e tragedie. Nel 1774 pubblica la „Guida Artistica di Bergamo”. Due anni dopo BONAVENTURA BENATI lo ritrae in un disegno da cui BENEDETTI trae un’ottima incisione. Nel 1777 sua moglie parte per Parigi. Abbandonato da sua moglie e dai due figli, resta solo, così si stabilisce a Rovigo dove si dedica all’arte libraria e ancora alle creazioni drammatiche. Pubblica „Notizie Istoriche de' comici italiani che fiorirono intorno all'anno MDC fino ai giorni presenti” e ancora commedie e tragedie come „Florinda Principessa di Gaeta”, „La Sepolta Viva” o „Il Mago salernitano”. Muore a Rovigo nel 1806. (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975). FRANCESCO SAVERIO BARTOLI (Bologna 1745-1806) attore, letterato e storico italiano. (Francesco Saverio Bartoli, Notizie delle pitture, sculture e architetture d'Italia 1776-1777) (Francesco Saverio Bartoli, Notizie Istoriche de' comici italiani che fiorirono intorno all'anno MDC fino ai giorni presenti, Conzatti, Padova 1782, voll. 2) (Francesco Saverio Bartoli, Il mago salernitano - commedia) (Francesco Saverio Bartoli, La sepolta viva - commedia). FRANCESCO BARTOLI (Bologna 1745 – 1806) Dopo il RICCOBONI fu il più colto fra gli attori italiani del Settecento. Era libraio, attor comico e letterato. Scrisse diverse commedie. (F. S. Bartoli, Il Mago Salernitano, commedia, Venezia 1772) (F. S. Bartoli, La Sepolta Viva, commedia, Vicenza 1780) (G. B. Baseggio, [in:] „De Tipaldo, Biografie degli Italiani Illustri del secolo XVIII”, IX, p. 157) (E. Masi, Storia del Teatro Italiano nel secolo XVIII, Firenze 1891, pp. 186-187) (L. Rasi, I Comici Italiani, Firenze 1897) (A. Pinelli, F. Bartoli Comico ed Erudito Bolognese e la prima Guida Artistica di Bergamo, [in:] „Bollettino della Civica Biblioteca di Bergamo”, ott. – dic.1916) (Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 1949). FRANCESCO BARTOLI (2/12/1745 - 1806) Membro d’onore dell’Accademia Clementina di Bologna. Attore e scrittore bolognese nacque da “povera in vero ed onorata gente”, suo padre era macellaio che si dilettava a leggere poemi. Cominciò a frequentare una bottega di intagliatore. Fu poi allogato nel negozio di libri degli Eredi ARGELLATI accanto all’Archiginnasio. Tra l’altro scrisse “Sonetti in lode di Madamigella ELISABETTA MARIANI detta l’Ungarese valorosissima giuocatrice d’equilibrio e suonatrice di musicali strumenti sopra il filo di ferro” (Alessandro Marasca, Comici dell’Arte, E. Loescher & C.°, Roma 1911). GIUSEPPE BARTOLI (Padova 1717 – Parigi 1788), erudito, poeta, professore di eloquenza in greco e latino, a Torino. Fu direttore a Torino del Museo Reale e fu socio all’Accademia di Iscrizioni e Belle Arti di Parigi. (Giuseppe Bartoli, La Battaglia del Colle dell’Assietta seguita ai XIX di luglio dell'anno MDCCXLVI -. Stanze, Stamperia Reale, Torino1747).GIUSEPPE BARTOLI (Padova 27/2/1717 – Parigi 21/11/1790) Archeologo e Autore drammatico. Scrisse tragedie come “Epponina” del 1767 che destò l’interesse dell’ALFIERI e altre, tutte inedite. Con l’amico LUIGI PERELLI entro a far parte della Compagnia di PIETRO ROSSI nel 1777. (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975) (Oreste Trebbi, [in:] „Rivista Italiana del Teatro”, Roma 1942, vol. I, pp. 287–295) (Carlo L. Curiel, Il Teatro di San Pietro di Trieste 1690-1801, Milano 1937). BARTOLOMEO BARTOLI , musicista del XVIII secolo. Ha realizzato spettacoli musicali a Jesi dal 1699 al 1792. (Comune di Jesi, 2004). GIOVANNI BATTISTA BARTOLI , uno degli ultimi protagonisti del madrigale fiorentino, ha composto “Il Primo Libro de' Madrigali” a cinque voci. Le ipotesi che formuliamo sulla genesi della sua opera sono strettamente relate alle recenti scoperte di dati biografici che consentono di calare il compositore nel contesto fiorentino nel quale egli ha operato. Di particolare importanza la scoperta della sua presenza – come diacono prima, come presbitero poi – nella Parrocchia di San Lorenzo, che aveva avuto rapporti con la stamperia ZANOBI PIGNONI, cioè la stessa presso la quale BARTOLI pubblicò la sua raccolta di madrigali. San Lorenzo era anche la Parrocchia presso la quale operava allora come maestro di cappella MARCO DA GAGLIANO, con il quale certamente il Nostro avrà avuto contatti. (Donatella Righini, Giovan Battista Bartoli: la genesi del “Primo libro de’ madrigali a cinque voci” e il tardo madrigale fiorentino, SISMEL, Firenze 2001)
(7) CARLO GOZZI (Venezia 13/12/1720 – Venezia 14/4/1806) Autore Drammatico e Scrittore Poligrafo, era sesto di sette figli, del Conte JACOPO ANTONIO GOZZI e di ANGELA TIEPOLO. Tra i suoi fratelli, da ricordare GASPARO GOZZI (Venezia 4/12/1713 – Padova 26/12/1786), anche lui scrittore e autore drammatico che, sposato prima con la poetessa LUISA BERGALLI, sposerà in seconde nozze SARA CE’NET e che, in un momento di sconforto tenterà d’annegarsi. CARLO, insieme a GASPARO, ha concorso alla fondazione dell’Accademia Letteraria dei Granelleschi. La sua opera più importante è costituita dalle 10 „Fiabe” teatrali composte tra il 1761 e il 1765. È stato l’autore teatrale della Compagnia di ANTONIO SACCHI. Fu amico di GOETHE, di SHILLER e di M.me DE STAËL. (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975). CARLO GOZZI (Venezia 13/12/1720 – Venezia 4/4/1806). Scrittore, fratello di GASPARO GOZZI (Venezia 4/12/1713 – Padova 26/12/1786) anch’egli scrittore e autore drammatico. Tra il 1761 e il 1765 ha scritto e messo lui stesso in scena dieci „Fiabe Teatrali”, nel 1762 la „Turandot” e tra il 1797 e il 1798 „Memorie inutili” un poema in 12 canti. (Enciclopedia, Zanichelli, Bologna 1995). CARLO GOZZI durante la relazione con l'attrice TEODORA RICCI, pubblica “Ragionamento ingenuo e storia sincera” e “Appendice al ragionamento ingenuo”. (Eugenio Allegri, Nota di Regia del Re Cervo di Carlo Gozzi, Teatro stabile del Veneto Carlo Goldoni). Dall'odio per un nobile veneziano, ANTONIO GRATAROL che gli aveva soffiato l'amore dell'attrice drammatica TEODORA RICCI, nacquero le „Memorie Inutili” (1797-1798) di CARLO GOZZI. Si tratta di una autobiografia in tre parti, con felici rievocazioni della sua vita e di quella veneziana dell'epoca. (Carlo Gozzi, Memorie Inutili, 1798). CARLO GOZZI, oltre che la RICCI, amò anche l’attrice ANTONIETTA SACCHI in arte CHIARETTA, nipote del Capocomico ANTONIO SACCHI. (Tancredi Mantovani, Carlo Gozzi, A. F. Formìggini, Roma 1926, pp. 60-65) (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975)
(8) Vedi: Teodora Ricci Bartoli, Una lettera di una comica ignorante, Panfilo Castaldi, Feltre 1900, a cura di Cesare Musatti. (Pubblicazione conservata presso l’Archivio di Alberto Macchi a Roma).
(9) PIETRO ANTONIO GRATAROL (Venezia 1735? – Madagascar 3/10/1785) A partire dal 1772 l’atteggiamento dello Stato nei confronti delle logge si modifica in seguito alla svolta conservatrice impressa alla politica veneziana da ANDREA TRON. Nello stesso anno la Gran Loggia inglese dei Moderns concede la patente numero 438 ad una loggia di Venezia denominata "L’Union" e la patente numero 439 ad una loggia di Verona. Queste due logge inglesi hanno probabilmente cessato di operare nel 1777-1778. Nella Serenissima abbiamo quattro nuove logge di cui si conoscono anche i nomi: "L’Amore del prossimo" a Padova, "I veri amici" a Vicenza, "La vera luce" a Verona e "La fedeltà" a Venezia. La loggia "L’Union" numero 438 era stata fondata dal segretario del Senato, PIER ANTONIO GRATAROL, e vedeva fra i numerosi Fratelli, che come nelle logge inglesi appartenevano alle più diverse estrazioni sociali, molti nobili, borghesi ed ebrei; contava fra i suoi membri anche un olandese e due o tre inglesi. Se confrontiamo gli elenchi degli iscritti a "L’Union" (1772) con quelli degli iscritti a "La fedeltà" (1785) possiamo notare la scomparsa di nomi stranieri ed ebrei e la preponderanza di aristocratici e funzionari dello Stato. Nel 1785 un governo sempre più preoccupato della sua sopravvivenza in un mondo che cominciava a cambiare troppo rapidamente, dove i concetti di libertà, uguaglianza e fraternità sfuggivano di mano, uscivano dal salotto e diventavano dirompenti e rivoluzionari, ordinava la chiusura delle logge, cosa che avvenne, come tutto a Venezia, senza troppo rumore. Di lì a pochi anni, il 12 maggio 1797 la Serenissima Repubblica di Venezia si arrendeva, stanca, sfinita e imbelle, una pallida ombra di quello che era stata, a NAPOLEONE BONAPARTE. L’ultimo Doge, LODOVICO MANIN, si spogliò in fretta delle insegne ducali e, prima di lasciare il Palazzo Ducale, consegnò al suo fidato cameriere personale BERNARDO TREVISANI la cuffietta di tela bianca che i Dogi portavano sotto il corno, e con flemma tutta veneziana disse: «Tenete, questa non l’adopero più». Così si conclude la storia della Serenissima Repubblica di Venezia. Quella della Massoneria veneta, invece, prosegue fino ai giorni nostri con alterna fortuna, ma, almeno per il momento, non ci interessa, anche perché entra a far parte di una storia più vasta, quella della Massoneria italiana. L’allegato è la copia fotostatica di una sorta di "certificato di apprendista" che porta l’intestazione rituale: I:.N:.D:.G:.A:.D:.U:. (In nome del Grande Architetto dell’Universo)…; così inizia: «Dall’Oriente di Venezia, luogo illuminato in cui regna l’Unione, … a tutte le logge regolari e Liberi Muratori… Noi, capo degli uomini illuminati nella R:.L:. (Rispettabile Loggia) di San Giovanni di Gerusalemme, sotto il titolo dell’Unione legittimamente costituita dalla G:.L:.U:. (Grande Loggia Unita) situata al sublime Oriente di Londra…»; termina in questo modo: "Data dalla R:.L:. di San Giovanni di Gerusalemme della L:. Unione situata all’Oriente di Venezia il 19 giugno 177…". L’ultima cifra della data non è affatto chiara, come, proprio all’inizio, non è chiara la prima cifra dell’anno della Luce che, comunque lo si legga, non ha alcun senso se si tiene presente la data finale (seppure incerta) della lettera. Dopo le firme di alcuni ufficiali della loggia appare la dicitura: "D’ordine del Maestro Venerabile PIETRO ANTONIO GRATAROL". L’apprendente (l’apprendista) a cui è intestato il certificato dovrebbe essere un certo GIOBATTA SBARDELLA di Vicenza. Si riconoscono le firme di un ALBRIZZI (molti membri di questa nobile famiglia veneziana si trovano negli elenchi di Liberi Muratori dell’epoca), di GIUSEPPE CONTIN (primo sorvegliante) e del cerimoniere BENIAMINO TREVES (ebreo). Questo documento dovrebbe essere anteriore al 1777, anno in cui la loggia Union 438 si sciolse e il GRATAROL, promettente segretario del Senato della Repubblica, carica importante e delicata che gli apriva la via a diventare segretario del Consiglio dei Dieci e quindi all’altissimo grado di Grande Cancelliere, dovette lasciare Venezia in fretta e furia e rifugiarsi a Stoccolma dopo una serie di scandali (amorosi e non), sapientemente orchestrati dal suo acerrimo nemico ANDREA TRON, nobile veneziano, già Libero Muratore, che ricopriva l’altissima carica di Procuratore di S. Marco, così potente da essere comunemente chiamato dal popolo "El paron" (Il padrone). (Cadel A.M., Venezia e la Massoneria nel ’700, C.I.D.G., Venezia 1995) (Campagnol A.A.I., I veneziani e la Massoneria, C.I.D.G., Venezia 1997). PIETRO ANTONIO GRATAROL (Venezia 1735? – Madagascar 3/10/1785) La loggia "L’Union" numero 438 fu fondata dal segretario del Senato, PIER ANTONIO GRATAROL. L’ultimo Doge, LODOVICO MANIN, si spogliò in fretta delle insegne ducali e, prima di lasciare il Palazzo Ducale, consegnò al suo fidato cameriere personale BERNARDO TREVISANI la cuffietta di tela bianca che i Dogi portavano sotto il corno, e con flemma tutta veneziana disse: «Tenete, questa non l’adopero più». Così si conclude la storia della Serenissima Repubblica di Venezia. Nel dicembre del 1777 il GRATAROL fu condannato in contumacia alla pena capitale e alla confisca dei beni per aver abbandonato il suo importante ufficio. Dal suo esilio di Stoccolma tentò di vendicarsi dei suoi nemici attraverso la pubblicazione, avvenuta nel 1779, della sua "Narrazione apologetica". Dopo aver lasciato Venezia e prima di raggiungere Stoccolma, GRATAROL aveva soggiornato per un certo periodo a Braunschweig, ospite del duca FERDINANDO VON BRAWNSCHWEIG CUNEBURG, Gran Maestro provinciale dei Massoni del Ducato. A lui LESSING dedicò il suo famoso libro "Emst und Falk, Gespiacher fur Freimaurer", cinque dialoghi pubblicati fra il 1778 e il 1780. Nel 1780 GRATAROL lasciò Stoccolma e si recò in Inghilterra, dove fu ospite nella casa di campagna di un membro del Parlamento di nome MORTON PITT. Non essendo riuscito, nonostante l’aiuto ricevuto dal PITT, a trovare un lavoro conveniente a Londra, GRATAROL attraversò l’Atlantico e cercò fortuna a Baltimora, nel Maryland. Nel 1785 andò in Brasile e da lì viaggiò fino al Madagascar. Il capitano della nave che portò GRATAROL sin lì lo derubò e abbandonò assieme ad altri sfortunati e avventurosi viaggiatori. GRATAROL così perse tutto quello che rimaneva dei suoi averi e, colpito da una malattia tropicale, morì ai primi di ottobre del 1785. (Cicogna E., Delle iscrizioni veneziane, I, Venezia 1824) (Horne A., King Solomon’s Temple in the Masonic Tradition, The Aquarian Press, 1972) (I capitelli del Palazzo Ducale, Filippi Ed., Venezia 1995) (Jones B.E., Freemasons’ Guide and Compendium, Harrap, 1956) (Mackenzie K., The Royal masonic Cyclopaedia, The Aquarian Press, 1987) (Manno A., Il Palazzo Ducale, Canal, 1996) (Mola A.A., Storia della Massoneria italiana, Bompiani, 1992) (Molmenti P., Storia di Venezia nella vita privata, Istituto di arti grafiche, Bergamo 1929) (Norwlch J.J., Venice, the Greatness and the Fall, Allen Lane, London 1981) (Targhetta R., La Massoneria veneta dal 1729 al 1785, Del Bianco Editore, Udine 1988). PIETRO ANTONIO GRATAROL Aux traits délicats, fluet, tiré à quatre épingles, doté d'esprit et d'intelligence, mais vaniteux et d'un caractère léger : voici le portrait physique et moral du secrétaire du Sénat PIER ANTONIO GRATARIOL. Le malheur voulut qu'il s'amourache de la comédienne RICCI, qui elle était amoureuse du sexagénaire CARLO GOZZI, écrivain connu, s'occupant de philosophie et grand hypocrite. GOZZI, par l'intermédiaire de son frère GASPARE, bénéficiait de la protection de la célèbre CATTERINA DOLFIN, épouse du sénateur ANDREA TRON, appelé "le patron" parce qu'il était l'arbitre des affaires de la République. On a beaucoup écrit autour de cette femme , aux mœurs dissolues, habituée à changer d'adorateurs à chaque phase de la lune, parmi lesquels il semble même y avoir eu GRATAROL. Sous son égide, GRATAROL voulut se venger de son rival, en composant une comédie intitulée "Les drogues de l'amour" où, il se moquait de GRATAROL. Dans le rôle de Don Adone, frivole gandin, rôle tenu par un acteur qui ressemblait au pauvre secrétaire et qui à cette occasion en imitait le comportement, les habits, la coiffure. La comédie fut jouée plusieurs fois et, GRATARIOL devenu objet de risée, montré du doigt dans les rues demanda en vain justice auprès des tribunaux, qui au contraire lui refusèrent les lettres de créances pour la cour de Naples où il avait été élu président. Désespéré, il s'enfuit alors de Venise en 1777 et pour cette raison fut condamné ,selon les lois de la patrie, au bannissement. A partir de cette époque, il erra dans diverses régions d'Europe, publia sa "Narrazione Apologetica" à Stockholm et, finalement ayant voulu faire partie de l'expédition du comte BENYOWSKI à Madagascar, termina là sa carrière en 1785. (Pietro Antonio Gratarol, Narrazione Apologetica, Silvestro Gatti, Venezia 1797) (Pietro Antonio Gratarol, Narrazione Apologetica, Silvestro Gatti, Stoccolma 1779) (Alessandro Bonelli,Rivista „Per Aspera ad Veritatem”)
(10) MARIA MADDALENA TORTI BATTAGLIA ( Pisa 1728 – Venezia 1803), attrice, capocomica, moglie dell’attore CARLO BATTAGLIA il quale fondò una compagnia col nome di lei. (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975)
(11) GIUSEPPE PELLANDI o PELAN (Veneto 1730 – Venezia 1802?), attore, nel ruolo di Arlecchino, lavorò con MEDEBACH. Fondò una prestigiosa compagnia. Suo figlio, ANTONIO PELLANDI, attore, sposò ANNA FIORILLI anche lei attrice. (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975)
(12) PIETRO ROSSI (Venezia 1719 – Cento 1795ca) attore e capocomico. Ebbe fra i suoi attori TEODORA RICCI. Nel 1778 lasciò la compagnia teatrale da lui fondata a suo genero LUIGI PERELLI che aveva sposato sua figlia ANNA, attrice, avuta da sua moglie MADDALENA ROSSI (Vicenza 1727 – Cento 1790ca) anch’essa attrice. (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975)
(13) GIOVANNI ANTONIO SACCO o SACCHI (Vienna 3/7/1708 – Presso Marsiglia 19/11/1788). Attore e capocomico famoso come TRUFFALDINO. Iniziò la carriera come secondo Zanni al Teatro La Pergola di Firenze. Sposò l’attrice ANTONIA FRANCHI. Nella sua Compagnia lavorò TEODORA RICCI. Morì su una nave diretta a Marsiglia. La sua salma, secondo la consuetudine fu gettata in mare. (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975)
(14) ANTOINE JEAN BAPTISTE ABRAHAM D’ORIGNY (Reims 1734 – 1798) Érudit. Fils du précédent, Antoine d'Origny est conseiller à la cour des monnaies. Il occupe son temps libre à enrichir ses connaissances, et il est admis dans plusieurs académies de province. Il meurt, ignoré, en 1798. (Antoine d'Origny, Dictionnaire des origines ou époques des inventions utiles, des découvertes importantes, etc.,Paris 1776-1778) (Antoine d'Origny, Abrégé de l'histoire du théâtre français, 1783, tome premier) (Antoine d'Origny, Annales du théâtre italien, 1788).
(15) GIROLAMO METEMBACH detto GIROLAMO MEDEBACH (Roma 1706 – 1790?), attore e capocomico italiano di origine tedesca. Nel 1739 venne scritturato da G. RAFFI il direttore di una compagnia di ballerini di corda. Nel 1740 sposò TEODORA RAFFI (1723 – 1761) attrice, in arte ROSAURA, la figlia del suo direttore. Subito sostituì i ballerini con degli attori e così divenne capocomico della compagnia del suocero. Dopo la morte di sua moglie, sposò ROSA SCALABRINI, figlia di un legale di Bologna, che recitò anche lei nella sua compagnia, malgrado fosse divenuta madre di molti figli. (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975)
(16) PETRONIO ZANARINI o ZAMERINI (Bologna 1737 – 1802?), attore, poeta in dialetto bolognese. Lavorò con ANTONIO SACCO. Sulla scena aveva un portamento moestoso, una bella voce sonora e nobiltà nel gesto.
(Il Teatro moderno applaudito, Venezia 1796, III, p. 22) (Enciclopedia dello Spettacolo, UNEDI, Roma 1975)
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Cesare Musatti, Una lettera d'una comica ignorante/Teodora Bartoli Ricci, Castaldi, Feltre 1900
ICONOGRAFIA:
- Ritratto di TEODORA RICCI (*), del pittore ALESSANDRO FALCA detto ALESSANDRO LONGHI (Venezia 12/6/1733 – Venezia 1813) realizzato a Venezia.
(*) TEODORA RICCI, istruita dal padre, ANTONIO RICCI, un ballerino nato a Padova, esordì come ballerina d’opera; appassionata d’arte drammatica, fu scritturata nel 1769 da PIETRO ROSSI che ne affidò l’educazione teatrale all’attore e poeta della compagnia FRANCESCO SAVERIO BARTOLI; questi la sposò il 5 novembre 1769. Nello stesso anno la RICCI cominciò a mettersi in luce a Genova; poco dopo si affermò clamorosamente a Torino, al Teatro Carignano, nella tragedia “Gli Sciti” di VOLTAIRE (Traduzione D’ORENGO; nel costume da lei indossato in tale occasione la ritrasse in seguito, a Venezia, ALESSANDRO LONGHI) (Alberto Casella (a), Teodora Ricci. [in:] “Enciclopedia dello Spettacolo”, UNEDI, Roma 1975, vol. VIII, pag. 937)
(a) ALBERTO CASELLA (Prato 1/11/1891 - Roma Castelfusano 10/9/1957), letterato e commediografo con una grande produzione di opere, ma la sua fama si affida soprattutto a “La morte in vacanza”, una favola tragica rappresentata in tutta Italia, ma anche all’estero: Praga, Varsavia, Londra. Negli Stati Uniti ebbe come interprete la diva nascente Katherine Hepburn.
- Ritratto del 1770, a figura intera, a grandezza naturale, del pittore ALESSANDRO FALCA detto ALESSANDRO LONGHI (Venezia 12/6/1733 – Venezia 1813) realizzato a Venezia. (Opera con il titolo “Dora Ricci Bartoli (^)”, di Alessandro Falca detto Alessandro Longhi, andata smarrita)
(^) Un salotto da gioco [per la “bassetta” e il “faraone”] parato di broccatello verde a disegno di trofei guerreschi con trame di tamburi e di cannoni, è caratterizzato da quattro ritratti femminili. Il ritratto di una cantatrice dovuto al pennello del MORLAITER, quello di una dama in bautta opera della CARRIERA, quello di un’amazzone schizzato alla brava da un anonimo. Ai tre si aggiungono da poco anche quello della commediante, dovuto al figlio di PIETRO LONGHI. DORA è rappresentata a grandezza naturale nella parte di Obeide, vestita col famoso costume parigino donatole a Torino dal traduttore D’ORENGO, quando al Carignano recitò “Gli Sciti” di VOLTAIRE. Il pittore ha cosparso le perverse mani di gioielli, e la rosea gola di collane deponendo anche ai suoi piedi corone di alloro e iscrivendo sulla base di un erma col busto di VOLTÉRO un distico di elogi immortali. Il salotto, col ritratto, diventato per antonomasia quello di DORA. Altre miniature dove erano effigiate bellezze di ballerine e di cantanti furono staccate, relegate con le lettere d’amore e i fiori secchi e i riccioli spiaccicati tra i medaglioni di vetro muranese nei cassetti della biblioteca. … la decorazione di un casino come questo [di PIETRO GRATAROL] dove DORA RICCI in BARTOLI regna imperiosa da mattina a sera. Vi ha lasciato le tracce profumate del suo passaggio, del suo tocco: le soglie da una camera all’altra sono ancora piene del suo frusciare serico, le specchiere sono composte a mosaico dai gesti, dalle boccacce, dalle riverenze che ella con gusto di commediante e di civetta vi ha provato mille volte. E non c’è bisogno di contemplare il ritratto di ALESSANDRO LONGHI per ricordarla vivente ogni momento. (Raffaele Calzini (a), La Commediante Veneziana, Mondadori, Milano 1936, pp. 173-176)
(a) RAFFAELE CALZINI (Milano 1885 - Cortina D'Ampezzo 1953) Giornalista, romanziere e drammaturgo. Fu una delle firme più rappresentative del Corriere della Sera durante il Ventennio. Girò il mondo in qualità di inviato speciale della testata milanese e raccolse le sue osservazioni in numerosi articoli e volumi di viaggio. Accompagnò sempre la sua carriera giornalistica con la scrittura letteraria, dapprima, negli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra, in veste di commediografo e poi come narratore in racconti e romanzi.
Il Presidente della Biennale di Venezia 1932-1943 fu Giovanni Volpi di Misurata. La giuria del 1935 era composta da: Giuseppe Volpi di Misurata (Presidente della Commissione Internazionale), Charles Delac (Francia), Ryszard Ordyński (Polonia), Fritz Scheuermann (Germania), Luis Villani (Ungheria), Luigi Freddi, Antonio Maraini, Filippo Sacchi, Ottavio Croze, RAFFAELE CALZINI, Gino Damerini, Giovanni Dettori, Eugenio Giovannetti, Mario Gromo, Giacomo Paolucci de Calboli Barone, Elio Zorzi (Italia).
RAFFAELE CALZINI, Sulle orme di Afrodite. Milano, Mondadori, 1928. In-8, pp. 304, con 16 tav. in b/n. Leg. m. pelle con angoli, 4 nervi al dorso con fregi e tit. oro, sguardie e piatti marmorizzati (mende ad una cerniera). Edizione originale. Impressioni di viaggio su Capri e la Sicilia. Dedica autografa del famoso libraio milanese: "A Carlo F... de A... in ricordo di un simpatico soggiorno a Positano, grato e riconoscente il vecchio amico libraio, Cesarino Branduani. 4 Novembre 1950". Sandomenico, Leggere Capri, p. 76-77; Gambetti-Vezzosi, p. 97.
RAFFAELE CALZINI, Segantini romanzo della montagna, Mondadori, Milano 1937. In-16 gr., pp. 368, bross. alla francese. V ediz. Dedica autografa dell'autore: "al caro amico Emilio Bestetti cordiale e augurale omaggio di RAFFAELE CALZINI, 21 Aprile ...".
Milano "fin de siècle", 1890-1900. Illustrazioni e tavole di Sandro Angelini. Milano, Hoepli, 1946. In-8, pp. 168, con num. ill. in b/n e 12 tav. a 2 col., bella bross alla francese. Edizione originale. Raro lavoro di ottima fattura editoriale in ottime condizioni di conservazione. Disincantata descrizione della pittoresca Milano di fine '800. Dedica autografa del romanziere e giornalista alla copert.: "al compagno di scuola Carlo F... 'souvenir' di RAFFAELE CALZINI, 8 febbr. 1946". Gambetti-Vezzosi, p. 97.
Arrigo Boito. Scritti e documenti. Nel trentesimo anniversario della morte, 10 giugno 1918 - 1948. Milano, 1948. In-4, pp. 158, con ill. in b/n e alcune a col., bross. alla francese (tracce di polvere alla copert., ma all'interno ottimo esempl.). Rara ediz. giubilare pubblicata a cura del "Comitato per le onoranze ad Arrigo Boito" e contenente contributi di vari specialisti e molta documentazione. Dedica autografa di uno dei redattori dei testi: "a Carlo F... de A... nel ricordo della nostra antica e cara amicizia, RAFFAELE CALZINI, 10.9.1948".
OSCAR WILDE, Il ritratto di Doriano Gray (The Picture of Dorian Gray, 1890), Traduzione di RAFFAELE CALZINI, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1935
RAFFAELE CALZINI, Segantini romanzo della Montagna, Mondadori 1934
GIANNETTO BONGIOVANNI, Consigli a Madlen Racconti di Padania, con una lettera di RAFFAELE CALZINI, Milano Sonzogno 1925
RAFFAELE CALZINI, La Commediante Veneziana, Mondadori 1935
Il debutto di Don Giovanni : un atto ; La fedeltà : tre atti ; La diva : un atto, in Commedie di RAFFAELE CALZINI - Firenze : R. Bemporad & figlio editori, 1921. - 207 p.; 20 cm
La fedeltà : tre atti / di RAFFAELE CALZINI. In: Comoedia, A. 1, n. 3 (10 ott. 1919), p. [5]-45, [1] c. di tav. : ill.
P. Müller, RAFFAELE CALZINI e "La Romantica", sulla Rivista “Broletto”, Bibliografia pagina 2/2, n. 70.
RAFFAELE CALZINI, Perché la Triennale di Milano non e' ancora diventata popolare - Alla vigilia della decima edizione che si terra' l'anno venturo, la grande mostra, di fama e importanza internazionali, dovrebbe fare un esame di coscienza del proprio passato - Considerazioni sulla X Triennale di Milano, in Corriere della Sera del 12/9/1953
RAFFAELE CALZINI, Una ragazza impertinente andò a intervistare il vecchio pittore - La sera stessa l'artista che aveva sessant'anni più di lei, le scrisse: "non posso fare a meno di voi" e tre anni dopo la sposò - Ricordo di Boldini in una intervista alla vedova, in Corriere Della Sera del 6/1/1952.
RAFFAELE CALZINI, Il cavallone di De Chirico s'impenna e da' sgroppate - Nel suo studio di piazza di Spagna il pittore ha appena finito i bozzetti per il "Mefistofele" alla Scala di Milano - Intervista con De Chirico nel suo studio di Roma mentre è alle prese coi bozzetti per il “Mefistofele”, Corriere della Sera del 23/1/1952.
RAFFAELE CALZINI, Chirurgia estetica e no sui volti delle nostre città - La più compromessa, e irrimediabilmente, e' Milano; la più fortunata e' Firenze; mentre a Roma la pressione demografica ostacola le necessarie innovazioni urbanistiche - Considerazioni sui problemi posti dalla ricostruzione nelle città di Milano, Firenze, Roma, in Corriere della Sera del 31/1/1952.
RAFFAELE CALZINI, Sotto i sepolcri dei Papi si apriva una necropoli pagana dove per undici anni nel più rigoroso segreto sono proseguiti i delicatissimi scavi per raggiungere la base dell'altare della confessione - Nella città del Vaticano si cerca la tomba di San Pietro, in Corriere della Sera del 19/2/1952.
RAFFAELE CALZINI, Ecco il punto preciso dove fu sepolto l'apostolo - Non si vede ora che una specie di pilastro rettangolare che in alto si prolunga attraverso le grotte e va ad innestarsi nell'altare papale al centro della basilica - Nella città del Vaticano trovato il punto preciso della tomba di San Pietro, Corriere della Sera del 1/3//1952.
RAFFAELE CALZINI, Una citta' satellite a Roma sullo scheletro della defunta "E 42" - L'utilizzazione degli edifici monumentali gia' costruiti e della vastissima area fabbricabile potra' dare sfogo alla capitale evitandone sventramenti e affollamenti - Considerazioni sull'ex E 42 che diventerà una città satellite di Roma, in Corriere della Sera del 14/3/1952. (Fondo Roberto Papini presso la Biblioteca della Facoltà di Architettura Università di Firenze)
VITA DI TEODORA RICCI BARTOLI:
1750 Nasce a Verona da ANTONIO ROSSI ballerino e EMILIA GAMBACCIANI attrice
1765 Debutta come ballerina al Teatro dell’Opera, ma ama e studia soprattutto l’arte drammatica
1769 Viene scritturata da PIETRO ROSSI che, per farla perfezionare nella recitazione, l’affida a FRANCESCO BARTOLI
Sposa a Genova il suo maestro, l’attore FRANCESCO BARTOLI, il 5 novembre
Si mette in luce a Genova come attrice drammatica
1770 Viene ritratta a Venezia dal pittore ALESSANDRO LONGHI
Si afferma a Torino con la commedia “Gli Sciti”
1771 Viene scritturata come primattrice da ANTONIO SACCO
1777 Debutta a Parigi, con la Compagnia del Théâtre Italien, il 29 aprile.
1780 Le viene riconosciuta dal Re di Francia una pensione.
1782 Torna in Italia e riprende a lavorare a Venezia.
1786 Lavora, come primadonna, con la Compagnia di Maddalena BATTAGLIA.
1794 Muore all’ospedale di San Servilio presso Venezia (secondo Alberto Casella).
1795 Muore il suo figlio maschio.
1796 Si ritira dalle scene.
Muore all’Ospedale di San Servilio presso Venezia (secondo Alessandro Marasca e Alberto Manzi)
1806 Muore suo marito FRANCESCO BARTOLI.
1824 Muore all’ospedale di San Servilio presso Venezia. (secondo Rosolino Guastalla, Giuseppe Compagnoni e Oreste Trebbi)
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Alberto Macchi (regista)
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Sono un appassionato di ricerche sul "Grand Tour e sulle Accademie dell'Arcadia e di San Luca nel XVIII secolo". Vivo in Italia ed in Polonia dove, di tanto in tanto, AMO VIAGGIARE NELLO SPAZIO E NEL TEMPO. Chiunque, residente in uno di questi due paesi, nutra la mia stessa passione, può contattami per un incontro in cui condividere e scambiarsi esperienze, foto, opere, documentazioni raccolte a tutt'oggi e magari per concordare un'eventuale escursione, tra realtà e immaginazione, da fare insieme successivamente.
0.642 - 15.1.15
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